Sempre più classica, mai uguale a se stessa, la kermesse valtellinese viaggia verso una dimensione sempre più internazionale
di Stefano Gatti© Valtellina Wine Trail Press Office
Terra in vista! Dalla prua dello sperone roccioso a sbalzo sul fondovalle, sul quale sorgono le rovine di Castel Grumello, il tendone che ricopre per intero Piazza Garibaldi (offrendo riparo pure alla statua dell'eroe dei due mondi) è già ben visibile e... desiderabile nei suoi suoni e nei suoi aromi. Per fare ritorno al campo-base di Valtellina Wine Trail nel cuore pulsante di Sondrio manca ormai solo una manciata di chilometri. Poco più di una piacevole e meritata passerella in prossimità del capolinea di una “marathonavventura" iniziata per quanto mi riguarda sei ore fa, un tempo che giudico dignitoso considerando i sessant’anni suonati ormai più di cinque mesi fa e la quarta esperienza in sette anni su questa distanza. La più completa e ricca di emozioni, colori, impegno fisico e mentale ma soprattutto profumi nel menu (è il caso di dirlo) dell’undicesima edizione di un evento da trionfo dei sensi appunto che - da osservatore - mi sembra ormai pronto a fare un ulteriore e decisivo salto di qualità. Nel frattempo ne faccio uno io all’indietro attraverso castelli, terrazzamenti, cantine, vigneti e paesini toccati fin dalla partenza da Piazza Cavour di Tirano, che torna a fare da scenario alla partenza della marathon immancabilmente diretta alla sua meta di Sondrio: un traguardo e prima ancora - adesso, qui - un’idea fissa.
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-In my mind... In my mind I’m already there. Are you?
-Nella mia testa... Nella mia testa io sono già là. E voi?
(Hidden Figures/Il diritto di contare - USA 2016 - Regia di Theodore Melfi)
Marathon o mara…thin? Scoprirò solo al traguardo che - per via di un paio di opportune modifiche alla traccia-gara - la prova ha perso al mio personalissimo GPS ben due chilometri e mezzo. La tradotta ferroviaria ci recapita per tempo a Tirano, dove scatta la corsa-prima-della-corsa ai posti migliori della comoda sala riunioni della Banca Popolare di Sondrio, che occupiamo militarmente in settecento o giù di lì per cambiarci al calduccio. Unico inconveniente: l’unico bagno a disposizione. A fare la fila non ci penso proprio: forse mi perderei il via, più lunga di così c’è solo quella a fine gara per i pizzoccheri che però più tardi gusterò senza farla (lo dico qui e poi basta perché mi sento in colpa). Pit stop spartano lì nei pressi (ragazzi, siamo runners, mica damerini), poi via in gabbia di partenza, pigiati come pinguini ma belli pronti.
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Divisa di ASD Sportiva Lanzada dalla dominante vinaccia perfettamente in tinta con il pettorale e i colori ufficiali dell’evento. Se non sei un top runner, tanto vale provare ad essere anche un po’ esteta: anche l’occhio vuole la sua parte, a proposito di sensi!
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Pronti, via tra pestoni e gomitate di rito nel breve e angusto tratto del centro storico, poi oltre la Porta Poschiavina e l’Adda la sede stradale si apre e giù a tutto gas sul vialone che taglia in due Tirano. Di nuovo misto-stretto tra viuzze di acciottolato per sfoltire il plotone. Quattro chiacchiere con il compagno di squadra Paolo, con il quale ci diamo appuntamento per domenica otto dicembre al Trail del Ciapà di Cervo (Imperia), per quella che è ormai tradizionalmente la prima tappa del mio tour invernale… molto antipodico e altrettanto simpatico, il più possibile lontano da freddo, buio e umidità.
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Ormai a ridosso della costa retica la prendiamo un po’ alla larga, allungando la strada verso il confine di stato: è la prima modifica dell’itinerario, studiata dagli organizzatori per ovviare all’effetto-tappo che (lungo il sentiero vertical a zigzag tra i filari dal Santuario della Madonna di Tirano alla chiesetta di Santa Perpetua) creava uno spaventoso ingorgo da tutti fermi o quasi per un quarto d’ora (ok, serviva anche a tirare il fiato dopo la schiumata iniziale, inutile negarlo). Variante di valico dentro il bosco promossa a pieni voti, sfiliamo via tutti senza smettere di correre… o quasi.
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Il primo quarto dell’itinerario è quello più semplice ma mica poi tanto. Non si fa tanto dislivello ma strappi e strappetti non mancano: tocca correre insomma, solo che le rasoiate in salita arrivano a tradimento mentre ci lasciamo alle spalle le case alte di Villa di Tirano e Bianzone. Poi cambia tutto, proprio in corrispondenza della seconda modifica di rilievo al tracciato, che ci porta a raggiungere Teglio e la sua Torre de li Beli Miri (GPM-gara) dalla parte opposta rispetto gli anni scorsi.
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Io quasi non me ne rendo conto, (già) alle prese con un fin troppo lungo momento di crisi che mi porta a sfiorare l’ipotesi-ritiro. Solo che dovrei issare la bandiera bianca in cima alla torre di cui sopra e poi sperare che qualcuno da lontano… la veda e mi venga a recuperare. Quindi niente, andiamo avanti e vediamo cosa succede. Al ristoro successivo (appena prima di uno dei tratti indoor e profumatissimi - di mosto - nelle cantine) mi porgono un bicchierino riempito solo per un quarto di vino rosso. Mah, tanto vale la pena tentare anche questa: magari mi sblocca!
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Niente effetto-turbo ma neanche il suo contrario. Non sono certo sia stato merito del “quartino” ma il tratto di saliscendi tra frutteti, vigneti e terrazzamenti scorre via un po’ più indolore e mi porta abbastanza rinfrancato a Ponte in Valtellina (chilometro venticinque di quarantuno) dove inizia il secondo e ultimo tratto inequivocabilmente in salita, che inizia lungo i “risc” (le pietre del fondo acciottolato) che portano al margine superiore del paese e che conosco fin dai tempi di una “Risciada” di qualche anno fa, che ricordo soprattutto per un ristoro finale a base di torte straordinariamente buone preparate dalle nonne local! Sempre lì vado a finire…
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Com’è come non è, l’ipotesi-ritiro intanto è rimasta alla periferia ovest di Teglio: sul fondo di quel bicchierino di rosso o impigliata tra i filari. Forse anche grazie ai tanti incontri fatti lungo il percorso, come quello con il collega Stefano Biasini di Ardenno che mi dice di ricordarsi dei miei servizi televisivi sulla Formula Uno e la MotoGP per Grand Prix e i telegiornali Mediaset. Un po’ di autostima, anche “trasversale” a sport tanto diversi, non può che fare bene. Vale tutto, per mettere un po’ di birra sul sentiero, in attesa di mandare giù per la trachea quella vera. A proposito:
-I have no such yearnings for home.
-Oh well, then come with me. We will sit and drink ale, tell tales few men have lived to tell.
-And fewer still will believe.
-But we will know the truth, my friend. We will know.
-Non ho desiderio di tornare a casa.
-Allora vieni da me. Ci siederemo insieme a bere buona birra e ricorderemo avventure che pochi altri hanno vissuto.
-E alle quali ancora meno crederanno.
-Si ma noi sapremo la verità, amico mio. Noi la sapremo
(Season of the Witch/L’ultimo dei templari - USA 2011 - Regia di Dominic Sena)
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Fuori dalla Wormwood Forest, la Foresta Amara dei Templari Nicholas Cage e Ron Pearlman e, ancora a proposito di piaceri della gola e dintorni, da un caratteristico punto di ristoro “a gomito” sotto il loggiato di una chiesetta, arriva un inconfondibile profumo di salamella. Beh, un assaggio, perché no? Arrivato lì però scopro che la grigliata è riservata ai volontari che presidiano il ristoro stesso… Giusto così: loro se la sono già guadagnata con il loro prezioso (anzi indispensabile) servizio. Noi no, non ancora. Mando giù l’acquolina e mi accontento di ingozzarmi di sali minerali e spremere con i denti un paio di spicchi d’arancia.
Solo un breve tratto in falsopiano spezza la salita che culmina all’inizio di una stretta valle che conduce verso l’anfiteatro di vette che separa in buona sostanza la Valmalenco dalla Valle di Poschiavo e che - in posizione isolata e staccata dalle altre cime - è dominata dalla Vetta di Ron. La traccia-gara si infila di nuovo nel bosco e fondamentalmente in discesa (ma gli strappi in salita non si fanno mai troppo attendere) verso Tresivio e poi Montagna in Valtellina.
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Passi lunghi e ben distesi, avanti così. Al ristoro sulla balconata del Santuario della Santa Casa - uno degli scorci più gettonati e spettacolari di tutta la Media Valtellina, ben oltre l'ambito della Wine Trail - mi concedo una veloce sosta-panchina per stringere i lacci alle fide Cascadia 18 by Brooks in vista del rush finale, manco dovessi giocarmela allo sprint con chissà chi. Smaltito il pit stop, via per l'ultima missione.
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Davanti ho tutta una traversata a mezzacosta tra i vigneti con vista su Castello Grumello, la cui sagoma diroccata ma al tempo spesso perfetta e minacciosa sembra però molto più lontana dei cinque chilometri che me ne separano e che sono quasi tutti da correre. Ci arrivo con il fiato grosso, “scarrellato” come i pizzoccheri che mi attendono laggiù e - appunto - la certezza di essere ormai in vista della meta. Mi avventuro senza fretta tra gradoni, giardini e mura antiche, prima di imboccare l’uscita dal complesso e - dopo un passaggio nei quartieri più occidentali di Montagna - avventurarmi tra prati, boschetti e muretti a secco fino a guadagnare di nuovo l’asfalto e l’abitato di Ponchiera.
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Riesco a giocarmela con due o tre colleghi addirittura più “affranti” di me: qualcuno è ormai ridotto ad andare al passo, io posso ancora corricchiare (senza troppo stile eh, quello è rimasto a Teglio o giù - e su - di lì) ma tengo ugualmente da parte qualche piccola riserva di energie per provare a finire a passo di corsa vera e propria. Come se nulla fosse. Ormai solo più un paio di chilometri al momento in cui metto piede sulla spettacolare Passerella delle Cassandre che collega Ponchiera a Mossini, sui due versanti opposti dell’attacco della Valmalenco.
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Giù tra le case, dentro un boschetto, poi un altro ponte e via sull’estremità settentrionale del lungomallero di Sondrio, prima della passerella nello struscio del sabato pomeriggio tra le viuzze del centro storico, i “bravo”, i “dai che è finita” e i “cinque” dei bambini. All'altezza della svolta a gomito di Piazza Campello compaiono le transenne sponsorizzate a bordo strada: è Corso Italia, il rush finale e il blue carpet con rampetta sotto l’arco d’arrivo. Un collega procede a passo d'uomo: vorrei portarmelo al traguardo ma sta proprio camminando, tiro dritto.
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L’amico speaker Juri Pianetti mi riconosce e mi annuncia al pubblico, il suo collega (lui pure amico) Thomas Sosio mi corre dietro per chiedermi com’è andata. Rispondo “bene”, con un filo di voce. A completare la triade degli speaker la bravissima e poliglotta Silvia Vaia. Mi avvio alla tenda-spogliatoio ad alto tasso di promiscuità intergenere appena fuori da Piazza Garibaldi. Per raggiungerla si passa davanti all’insegna de “Il canapaio”: ah beh, ecco! Mi asciugo alla bell’e meglio e mi cambio. Poi mi accascio sull’asfalto di quello che negli altri trecentosessantaquattro giorni dell’anno è un parcheggio a due passi dal Mallero a messaggiare a destra e a manca. Abortito il primo incauto tentativo di rimettermi in piedi ”dritto per dritto”, passo al piano bi. La prendo alla lontana: mi rotolo su un fianco e faccio leva per issarmi in posizione eretta. Ad una certa età (l’ho già detto?) vale proprio tutto. È il bello di invecchiare: se te la sei giocata discretamente bene prima, fai più o meno tutto quello che ti pare. Io ve l’ho detto, poi vedete voi.
© Stefano Gatti
Torno in piazza e mi infilo tra la calca del tendone per il mio piatto di pizzoccheri. Al mio tavolo(ne) c’è anche la scozzese Jemina Farley, la giovanissima vincitrice della mezza maratona Chiuro-Sondrio, insieme a tutta la sua famiglia. Mi intrattengo in conversazione con suo papà: è una famiglia di runners (trail ma non solo) che alle umide Highlands del loro Paese d'origine (su a Castel Grumello “Jem” - il suo nickname non può che essere questo, contateci - deve essersi sentita a casa!) preferiscono scenari più mediterranei e caldi, ciò che mi fa pensare di essere un po’ scozzese pure io. I Farleys infatti vivono sparsi tra Malta e Cipro e qui si sono dati appuntamento per una reunion familiare dai toni sportivi ma non solo: pare abbiano casse di "rossi" di Valtellina nel bagagliaio dell’auto… Non c’è traccia però di pizzoccheri nei loro vassoi: solo qualche fetta di pane e di bresaola. Stuzzichini o poco più. Va bene il vino, va bene la forma fisica ma… Dico al capofamiglia: “Don’t leave without tasting pizzoccheri!”. Spero abbia ascoltato il mio consiglio ma - anche in caso affermativo - non so come abbia eventualmente fatto a ordinarli. Nonostante la mia pazienza (e la sua buona volontà), non sono riuscito a strappargli più di un “pissotti” di fronte al quale il malcapitato cameriere sarebbe destinato a restarsene lì con espressione interrogativa, indeciso se portargli davvero… un set dei caratteristici tappeti dell’artigianato locale: i coloratissimi “pezzotti”!
Con la quarta marathon Tirano-Sondrio di VWT intanto penso di aver ormai raggiunto la pace dei sensi su questa distanza ma… da queste parti non si sa mai davvero. Alla Wine Trail vera (questa: la prima e l'originale) non c’è pace per i sensi: aromi, colori, panorami e sapori di giornate così potrebbero trascinarmi qui per un orecchio anche l’anno prossimo. Casomai ne riparliamo!
© Stefano Gatti
Domenica mattina nel mio chalet di Lanzada, dopo un bel sonno ristoratore. Allineo le “stones” collezionate negli ultimi sette anni al Valtellina Wine Trail: quattro marathon e due mezze. Manca solo la stone di serpentino della prima 42K, quella del 2018. L’avrò persa o forse non la davano ancora? Mah, poco male. Intanto le dispongo sul tavolo a formare i cinque cerchi olimpici ma… se guardate bene, con spirito osservatore e la mia immaginazione, quel nodo nel legno colma in qualche modo la mancanza della prima ”marathon stone” e - più ancora - completa il grappolo d’uva stilizzato, che è poi il logo stesso di Valtellina Wine Trail!
“Tutti gli uomini sognano, ma non allo stesso modo. Quelli che sognano di notte nei polverosi recessi delle loro menti si svegliano al mattino per scoprirne la fatuità, ma i sognatori di giorno sono persone pericolose, perché possono agire sul loro sogno con occhi aperti, per renderlo possibile”. (Thomas Edward Lawrence)
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