Trenta chilometri su e giù tra Italia e Svizzera, nella scia (virtuale) dei grandi campioni della corsa sui sentieri d'alta quota
di Stefano Gatti© Paolo Gelosa
“Trecento metri ancora, dai che ci sei”. Non ho memoria delle sembianze e delle fattezze… dalle quali proveniva quell’ultimo incoraggiamento. Non ne ho adesso, qui seduto al fresco davanti al monitor. Figurarsi allora, a quell’ora: le due e venti di un caldissimo pomeriggio domenicale post-ferragostano e ormai alle prese con le ultime falcate della mia Skyrace Valmalenco-Valposchiavo. Trecento metri: a conti fatti la centesima parte di quell’itinerario italo-elvetico da Lanzada a Poschiavo (località entrambe allungate ai mille metri dei rispettivi fondovalle) e GPM ai duemilaseicento metri (abbondanti) di quota del Passo di Campagneda con il suo arco ligneo che - ora che ci sono passato sotto con il pettorale già bello sudato addosso - ricordo come una presenza amica piuttosto che come un severo monito. E che non vedo l’ora di ritrovare: con un altro pettorale ben spillato addosso, naturalmente!
© Stefano Gatti
Skyrace Internazionale Valmalenco-Valposchiavo. Viene da dire: da qui in avanti semplicemente Skyrace. Sì perché in un certo senso basta la parola! Tanto è vasta la risonanza di questo appuntamento che torna in scena dopo un intero decennio di immeritato oblio. Mentalmente (di più… meglio di no) ripercorro a ritroso la sottile linea rossa della traccia di gara e torno alla prima mattina di domenica 20 agosto, poche ore al via. Apro la porta di casa e mi si para davanti lo spettacolo di un’alba pulita e profumata, il cielo trapuntato di innocue nuvolette. Preannuncia una giornata all'insegna delle temperature in salita, tanto per restare in tema. Pazienza: in gara il caldo lo soffro come tutti ma correre con alte temperature ambientali mi piace. E poi, che fortuna essere qui, che doppia fortuna vestire la divisa della Sportiva Lanzada e correre giù lungo i freschi vicoli, le fontane e le volte sotto le case del paese, in direzione del Centro Sportivo Pradasc. Consegno lo zaino con il cambio di vestiario per l’arrivo e poi mi dedico alle “pierre”: con i compagni di squadra della mia storica società, con gli amici di Facebook che per fortuna ogni tanto si materializzano in carne ed ossa, con qualche collega giornalista (e skyrunner!), con quegli scatenati dei Selvadec che mi affascinano per il loro approccio appassionato e scanzonato. E per finire con il “socio” Paolo Taglietti: un’intera estate ad incontrarci sui sentieri, in gara! Spesso a darci una mano a vicenda.
© Skyrace Valmalenco-Valposchiavo Press Office
Alla partenza da Via Ganda, quasi mi emoziono a pensare al ricordo della foto di uno start della Skyrace old style (quella andata in scena dal 2002 al 2013) proprio nello stesso posto. Non mi sembra vero di avere tra le mani questa occasione e - lo scopro in quelle ore e poi me ne renderò conto nei giorni seguenti - non solo il solo a pensarla così. Tutti vogliamo "mettere via" la Skyrace, almeno una volta... Non si sa mai. Per quanto mi riguarda, oltretutto, la passione per la corsa in alta quota è nata sognando di poter correre questa gara. Che però non esisteva più, quando mi sono deciso al grande passo… e poi a tutti quelli successivi: migliaia, milioni. Il comitato organizzatore a trazione italo-elvetica (Sportiva Lanzada e Sportiva Palü Poschiavo) ha apposto sulla Skyrace 2023 l’etichetta di Special Edition: un termine volutamente... celebrativo o - con accezione più futuribile - possibilista e aperto a possibili sviluppi. Trenta chilometri abbondanti e milleottocento metri di dislivello (alla fine sfuoreremo ampiamente quota duemila) verso nordest più tardi, al centro della Piazza Comunale di Poschiavo, l’ipotesi di un bis 2024 aveva già fatto l'upgrade alla fase di progetto…
© Skyrace Valmalenco-Valposchiavo Press Office
La traccia odierna - mi dice chi la sa lunga come pochi altri al proposito - segue fedelmente quella della prima edizione in assoluto, nell'ormai lontano 2022. Pronti, via: pestiamo asfalto a mo’ di riscaldamento tra le vie delle frazioni alte di Lanzada e poi si inizia a fare sul serio: oltre la strada provinciale e tra gli alberi. L’imbuto del sentierino single-track strappa mugugni a tanti. Che falsi che siamo! Non vedevamo l’ora di tirare il fiato e ingurgitare avidamente ossigeno dopo la tirata iniziale. La prima missione è un vertical "non dichiarato" che dai mille metri di Lanzada e in tre strappi successivi - ci porta ai millesette di Cima Sassa, passando per il maggengo di Ponte. Mi viene in mente il ricchissimo banchetto di Ferragosto in baita proprio da queste parti. Mi torna l’acquolina in bocca al solo pensiero ma oggi la gola è secca e chiede ristoro: il primo è proprio a Cima Sassa, dove il menu (tanto per restare in tema) cambia di brutto. Anzi, bellissimo. Un lungo arco di semicerchio ci porterà fino al passaggio-chiave del Rifugio Musella, lungo un sentiero tutto a saliscendi che ci permette di assestarci. Meglio però non gettare lo sguardo sul Passo di Campagneda che sembra lì da toccare ma… c’è tutto in mondo intorno e cambia ogni giorno, anzi ogni ora. E soprattutto un'intera valle, e profonda, là in basso.
Cambia anche la temperatura ambientale: sale, ovviamente! Mi sono ripromesso di bere regolarmente e di bagnarmi anche. Oltre il ristoro del panoramico Dosso dei Vetti c’è una fonte freschissima che riempie di acqua cristallina una vasca ricavata nel tronco di un larice. È appena sotto la traccia di gara, a pochi metri, ma nascosta. Me la sono segnata esattamente una settimana fa, durante una ricognizione da Lanzada a Passo Campagneda. Pensavo di passare in incognito. Sì, ciao! Ci ho trovato metà Sportiva Lanzada e altri ancora che avevano avuto la mia stessa idea!
© Giacomo Perucchini
Giù a tutta o quasi tra larici altissimi e una mulattiera che permette di sviluppare velocità. Un capannello di escursionisti intorno ad un runner nel bel mezzo di Alpe Campascio. Uno di noi si è accasciato appena fuori dal sentiero. Gli chiedono come si chiama: scena muta e sguardo nel vuoto. Sento volteggiare l’elicottero sopra la testa mentre affronto le rampe che portano al Rifugio Musella. Si posa a terra nel giro di pochi minuti: andrà tutto bene. La bretella di sentiero che ci permette di spostarci da un versante all’altro della Val Lanterna (ramo laterale destro della Valmalenco propriamente detta) con l’aiutino del camminamento sul culmine della diga di Campomoro scorre senza fare troppi danni sotto la suola delle scarpe. A proposito: anche questa volta mi sono affidato alla mia “fiamma” 2023: le ASICS GEL-Trabuco 11 che molti altri portano oggi ai piedi. Balleranno una sola estate? Beh, ovviamente sì ma… che primavera-estate di passione: Villacidro Skyrace in Sardegna, Trail del Centenario in Val Brembana, Sentiero 4 Luglio, Dolomyths, VUT e oggi Skyrace Valmalenco-Valposchiavo!
Ristoro sul piazzale di Campomoro, ricca abluzione alla vicina fontanella e poi su, oltre il Rifugio Zoia e le soprastanti falesie fittamente disegnate di vie d’arrampicata. Per fortuna, oltre a quelli ufficiali, ci sono anche i ristori più o meno abusivi. All'altezza di Alpe Campagneda mi offrono una bottiglietta d’acqua. Di più, mi fanno scegliere:
-“Naturale o gasata?”
-“Stai scherzando? Bollicine, naturalmente!”
© Paolo Gelosa
Oltrepasso sviando lo sguardo il Rifugio Ca’ Runcasch (dove sette giorni fa mi ero concesso un lauto pasto alla fine del test run) e alternando corsetta e camminata lungo il Piano di Campagneda, preparandomi alle rampe dell’omonimo passo. Nota a margine: a quest’ora il vincitore Roberto Delorenzi ha già raggiunto il traguardo e la vincitrice Francesca Rusconi… beh sì, anche lei, quasi…! Mi viene incontro qualcuno. Metto a fuoco: è l’amico Mirko Bertolini, atleta di vaglia e organizzatore di Val di Mello Winter Trail, ormai un classico invernale. Mi riconosce e senza porre tempo in mezzo inverte la marcia (credo lo abbia fatto cinque o sei volte quel giorno) e mi accompagna per qualche centinaio di metri. Mirko, se leggi: grazie ancora. E se non leggi, grazie uguale. Poco più su mi si para davanti Paolo Gelosa, uno dei Selvadec della prima ora. Mi scatta un paio di foto con lo smartphone. Grazie anche a te!
Curioso: nonostante oggi abbia uno dei pettorali più alti ma soprattutto non personalizzato con nome e cognome (quelli si stampano con più anticipo), tanti mi riconoscono e mi chiamano. Ci tengo solo nella misura in cui questa “riconoscibilità” è legata alla mia appartenenza ormai di lunga data a questi luoghi e al lavoro di promozione degli sport outdoor sulle pagine web di Sportmediaset e (con la collaborazione dei miei colleghi) nei telegiornali generalisti di Mediaset: Studio Aperto, soprattutto.
L’attraversamento di un serie di torrentelli introduce un tratto più vario e ripido, tutto a strappi e pause, costeggiando i Laghi di Campagneda. Tanta acqua fresca anche qui: ne approfitto senza ritegno. Ecco una divisa conosciuta: è il compagno di squadra Dino. Segna il passo, accaldato ed evidentemente alle prese con una giornata-no.
-“Pesca nella tasca esterna del mio zainetto, prenditi una barretta e non mollare!”
© Giacomo Meneghello
Non manca un breve tratto attrezzato ma meno che elementare. Sto per afferrare la prima catena, quando ecco l’invasione di campo della sagace collega elvetica Stefania:
-“Posso? Permesso!”
Colto di sorpresa, esito un attimo. Poi sibilo:
-“Eh vabbeh, ero già qui ma vai, vai pure”.
Vai sì, ma non per molto. La marco stretta per quel che resta della salita al Passo e poi, già nel primo tratto della discesa, la raggiungo in piena "garra" e la svernicio senza tanti complimenti, rifilandole un bel po’ di minuti al traguardo. Quando ci vuole, ci vuole!
© Giacomo Meneghello
Ritorno al Passo, ma solo… qui. Raggiungo l’arco ligneo, bevo qualcosa e saluto l’amico Andrea Balossi (con il quale ho condiviso tre settimane fa tutto l’ultimo tratto della VUT 35K). Arrivato quassù qualche minuto davanti a me, come mi racconterà in seguito dovrà penare parecchio in discesa per via del caldo. Ci abbassiamo verso il vicino Passo di Canciano, sconfiniamo in Svizzera e finalmente, dopo quasi venti chilometri di saliscendi, ci possiamo finalmente tuffare (ah, cosa darei per un bel tuffo) negli ultimi dieci chilometri “downhill”!
© Giacomo Meneghello
Dopo averlo marcato stretto per un buon tratto di gara, quando dalla traccia di sentiero tra rocce, praterie e malghe si passa alla mulattiera nella foresta, mi metto alle spalle il collega Gianpietro e continuo ad abbassarmi ad un ritmo finalmente apprezzabile. Fondametalmente da solo, perché siamo ormai tutti sparpagliati lungo il percorso e una buona metà dei trecento al via sono al traguardo o… nelle sue immediate vicinanze. Mentre attraverso un settore di grandi massi accatastati, mi viene in mente che su un tratto così ho fatto un bel volo poco più di un mese fa alla Dolomyths di Canazei: “Stai all’occhio, concentrati”. Detto fatto: nuovo ruzzolone e una bella botta ad un gomito. Alle baite lì sotto bevo un bicchiere di acqua fresca e chiedo di versarmene un paio sulla testa. Niente di nuovo (ma tutto bellissimo) sotto il sole… cocente anche al passaggio delle località di Quadrada e poi di Selva dove, al ristoro, anime pie rossocrociate hanno installato una specie di doccia sotto la quale indugio per un minuto buono!
© Fabio Vedovatti
Ultime salitelle, poi finalmente laggiù i tetti di Poschiavo. A Selva mi ha raggiunto Manuela Kalt-DeMonti che, dopo la cattiva impressione che mi aveva lasciato Stefania dalle parti di Campagneda, mi offre la possibilità di fare pace con l’altra metà del cielo delle skyrunners confederate. La traccia di gara scende decisamente lungo una mulattiera pavimentata a risc (ciottoli) dentro la vegetazione. Giochi di luce ed ombra piuttosto ingannevoli. Faccio l’andatura e Manuela (che mi segue da presso e conosce i luoghi) mi fa da radar:
-“Occhio lì che è scivoloso, là stai a destra, attento che laggiù è sconnesso”.
Con un copilota così si scende che è un piacere. Il boschetto finisce e tocchiamo l’asfalto. Non la sento più (arriverà qualche minuto dopo, perdendo per strada un paio di posizioni) ma tiro dritto. C’è una scritta sulla strada: “Viva gli skyrunners”. Non capita spesso, mi scappa un sorriso. Siamo ormai in paese. Due chilometri sostanzialmente in piano o al più leggermente in salita. Potrei e dovrei correre ma (le difese “immunitarie” sono già da un po’ sul rosso) mi faccio condizionare da chi mi ha descritto quest’ultimo tratto in falsopiano dopo tanta discesa come… una dura rampa: finisce che mi smonto e prendo a camminare su Via di Spultri che corre (lei sì!) lungo il torrente Poschiavino. Lo fa anche Daniele poche decine di metri davanti a me e all’orizzonte ottico (se mi volto indietro) non ci sono minacce imminenti.
Attraverso il corso d’acqua lungo Burca da la Paserela e poi, dopo quel “Trecento metri ancora, dai che ci sei” di cui all’inizio, faccio il mio ingresso nella retta finale di Via da Mez che sfocia poco più avanti (trecento metri, appunto) nella Piazza Comunale. Supero la linea del traguardo con una super accoglienza personalizzata da parte del mitico speaker Silvano Gadin che scalda l'ugola in vista del clou stagionale del Tor des Géants e mi accascio plasticamente sui materassini adagiati sotto il provvidenziale gazebo. Non c’è molto altro da aggiungere. C’è più che altro da augurarsi di poter rifare presto tutto questo e altro ancora: la setta degli skyrunners mi avrà ancora (spero a lungo) tra i suoi adepti.
© Giacomo Meneghello