Esperienza, tradizione e sogni sui sentieri dell'evento che ha per teatro d'operazioni l'Alta Via della Valmalenco
di Stefano Gatti© ENDU
Il bivio di Alpe Musella è una scelta, peraltro già fatta: pettorale giallo per di qua, verso il Vallone di Scerscen, cuore selvaggio di VUT Valmalenco Ultradistance Trail, pettorale verde di là: verso Campo Moro e la scorciatoria virtuosa del formato 35K. Io passo con il verde! Dopo una VUT da assistenza veloce, una da staffettista, un DNF sulla “lunga” che a distanza di quattro anni non ho ancora digerito (come evidentemente qualcosa quel giorno, anzi quella notte) e due forfait causa infortunio, alla collezione manca appunto la distanza “breve”. Sento soprattutto il bisogno fisico di mettermi al collo una medaglia di serpentino da finisher alla VUT dopo quella della staffetta 2018. Quindi vai col verde...speranza, non senza un ultimo sguardo al Vallone. Un grande "in bocca al lupo" a chi ci si infila dentro (nel Vallone e nella bocca) e mi avvio, con il sogno casomai di riprovarci. Non si sa mai: ogni anno diventa più dura ma non per questo impossibile.
© S. Gatti
Niente ore piccole insomma: la mia gara scatta alle nove del mattino, quando i “lunghi” sono in azione già da undici ore e i primi… ormai in vista del traguardo o quasi! Niente ore piccole ma quella che ci aspetta sarà comunque una grande giornata, sulla fiducia. Sì perché la 35K vale poco più di un terzo della prova-clou per distanza (con dislivello positivo allineato) ma non si può certo definire prova d’ingresso. È certamente qualcosa di più: sufficiente a se stessa ma anche utilissima come base per tentare in seguito l’upgrade verso la missione più impegnativa e prestigiosa. Non la farei tanto più lunga di così, anche perché siamo ormai nel piazzale del Centro Sportivo di Pradasc a Lanzada.
Sono sceso direttamente da casa alle sei del mattino, corricchiando tra i freschi vicoli, le volte e le scalinate del mio paese d'adozione. Primo assoluto al ritiro pettorali: per oggi sarà l’unica “coccarda”, quindi me la tengo stretta! Quattro chiacchiere con l’amica Cristina Bonacina, atleta di livello internazionale nella difficile disciplina del towerrunning (la corsa su per le infinite rampe di gradini dei grattacieli di tutto il mondo), poi altrettanto con l’amico Paolo Taglietti, i compagni di squadra di ASD Sportiva Lanzada, il vulcanico frontman del comitato organizzatore Fabio Cometti e l’amico speaker Thomas Sosio.
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Ci siamo: alle nove in punto il plotone di VUT 35K lascia i blocchi di partenza. Giù a tutta lungo la ciclabile asfaltata verso l’ombelico del mondo (vabbeh, della Valmalenco): il punto più basso e centrale della valle stessa. Solita storia: il primo chilometro di gara è tutto una sarabanda di punta-tacco (o meglio... tallone) e gomitate noncuranti del prossimo (anzi promiscuo) per guadagnare posizioni correndo ai quattro e trenta in vista (letteralmente) del primo imbuto, là dove la strada lascia inevitabilmente spazio al sentiero.
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Su per uno sterratone dritto-per-dritto a fianco della Snow Eagle (la funivia più grande d’Europa, lo sarà ancora?), poi un continuo slalom rasente i muri, tra i vicoletti e le svolte secche del Curlo, località tra le più fortemente identitarie della valle. Oltre i tetti delle case, iniziamo ad inerpicarci tra muretti e secco e rampe anche (secche!) che - girando largo a semicerchio - salgono verso il balcone panoramico di Albareda, new entry di VUT 2023. Non sarà più la vertical iniziale dello scorso anno ma… anche oggi si entra in clima-gara con il fiatone e pulsazioni adeguate. Raggiungo la compagna di squadra Gloria che però mi restituirà molto presto il sorpasso, avviandosi verso una parte centrale e finale di gara evidentemente strepitosa: non la vedrò più neanche con il teleobiettivo. Tostissima, Gloria…! Complimenti anche da qui.
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Il traverso alterna senza soluzione di continuità sentiero e mulattiera, in una zona di cave di pietra ma (oltre al respiro pesante) a rendere l’idea del graduale guadagno di quota è la vegetazione tutto intorno: si entra nella foresta di larici che ad un certo punto si apre sul piazzale del ristorante La Güsa, in località I Barchi, direttamente sulle piste da sci. Qui però - dopo aver approfittato del ristoro - la gara cambia carattere e sale di livello. La traccia si inerpica “bella" decisa verso la foresta, incrociando solo brevemente la pista. Poi via spingendo sui bastoncini, con i quali mi sono riconciliato alla Dolomyths Skyrace di Canazei, dopo averli a lungo snobbati. Facciamo scalo dalle parti delle baite del Barchetto, poi la pendenza si abbatte un po’ (magari solo un paio di pause in falsopiano) prima di mettere i passi sulla sterratina che conduce al Rifugio Palù e le grinfie sul suo ricco ristoro. Tra striscioline di Casera e fette di bresaola, mi passano davanti in tanti. Mah, io preferisco indugiare qui e rimpinzarmi…
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Riparto adeguatamente ritemprato e regalo all’amico fotografo uno dei miei rarissimi sorrisi in gara, con tanto di Lago Palù sullo sfondo, poi doppio la vicina e soprastante Alpe Roggione dove mi metto sulle tracce della collega Giovanna e poi (appena più avanti) della sua amica Monica: un treno al quale - tra un tira e molla e l’altro, tra un sorpasso operato e uno incassato - resterò fondamentalmente agganciato senza prendere troppe iniziative. Atteggiamento forse un po’ troppo rinunciatario che - non me ne vogliano entrambe - probabilmente mi costerà cinque o sei minuti di troppo sul tempo finale e di conseguenza una quindicina di posizioni nella classifica finale. La “cattiveria” insomma latita, anche e più dell’allenamento specifico sui sentieri. In questo tratto in comune con quello della 90K, il tracciato di gara ci permette di mischiarci ai “pettorali gialli”. Ad ogni atleta che incontro (o che mi raggiunge) leggo subito il pettorale stesso e - se è in giro dalla scorsa notte - non manco di rivolgere un incoraggiamento: alcuni di loro hanno ancora davanti tra le sei e le dieci ore di gara!
La traccia si fa più sinuosa e intricata. Quando poi si impenna con decisione dentro il canalino che porta al Bocchel del Torno, il coefficiente di impegno sale ugualmente di tono, tanto che la carovana di centrogruppo - fino a poche centinaia di metri fa piuttosto sfilacciata e allungata - tende ora a ricompattarsi. Il ricordo corre (beato lui, io arranco) alla mia VUT da staffettista nel 2018, pesantemente segnata dal maltempo: tanto che il sentiero, da queste parti, era un torrente in piena da risalire come un salmone, con l’acqua gelata fin sopra le caviglie. Oggi va decisamente meglio! Una volta scollinato, ci lanciamo giù lungo il declivio della pista da sci che - sull’altro versante del comprensorio sciistico - porta giù fino al nuovo sightseeing point del Dosso dei Vetti. Rispetto a cinque anni fa (allora corsi il tratto centrale: da Chiareggio al Rifugio Zoia), le bandierine segna-percorso non si succedono regolarmente lungo la pista stessa ma nella rada foresta che la affianca.
© Giacomo Meneghello
Poco sopra il Dosso però ci buttiamo sullo schuss finale e ci imbuchiamo di nuovo nella foresta per un traverso largamente in discesa verso il pianoro dell’Alpe Campascio, dove si spegne (momentaneamente) l’impeto del torrente generato dallo scioglimento dei ghiacciai del Bernina, dopo essere passato dentro la “centrifuga” del Vallone di Scerscen che ormai incombe all’orizzonte. Non resta che imboccare le svolte a ripetizione che - sul versante opposto del pianoro - portano per fortuna senza troppa sofferenza al Rifugio Musella: quello del bivio iniziale di queste righe. Qui trovo l’amico e compagno di squadra Vittorio, più volte finisher della 90K ma questa volta impegnato a gestire il punto di ristoro nello snodo chiave della VUT.
© Giacomo Meneghello
Abbandoniamo con una sottile (molto sottile) invidia gli atleti "long distance" al loro faticoso e ripido destino e - usando a tratti i bastoncini pure in discesa - ci scapicolliamo giù in direzione Campomoro e Rifugio Zoia, sede dell’unico cancello orario della nostra prova. È fissato alle quattordici in punto: cinque ore dopo il via. Lo attraverso con un’ora abbondante di margine e - proprio all’inversione di rotta verso nordest - non posso fare a meno di pensare che domenica 20 agosto questo sarà un passaggio-chiave dell’edizione speciale (e rievocativa) della Skyrace Valmalenco-Valposchiavo, una delle grandi classiche dello skyrunning, andata in scena dal 2002 al 2013 e vinta da campioni del calbro di Marco De Gasperi e Emanuela Brizio, Kilian Jornet e Dennis Brunod. Organizzata dalla mia società di appartenenza (ASD Sportiva Lanzada) e da Sportiva Palü per il… versante elvetico, la Skyrace condivide con VUT il tratto che va grossomodo dal Dosso dei Vetti al Rifugio Ca’ Runcasch, che raggiungo nel giro di una mezz’oretta dopo essere passato sotto le falesie di Campo Moro e le baite di Alpe Campagneda.
© Skyrace Valmalenco-Valposchiavo Press Office
Qui la traccia della “sky” transfrontaliera italo-elvetica tira dritta e si arrampica ai 2600 metri abbondanti del GPM-gara di Passo Campagneda, con il classico arco di legno che attende da un intero decennio il passaggio dei corridori del cielo e rappresenta l’inizio della lunga picchiata verso Poschiavo. Noi invece traversiamo per l'ennesima volta (questa verso sud) in direzione Alpe Prabello e Rifugio Cristina, ultimo punto d’appoggio di rilievo prima della discesa-non discesa finale verso il traguardo di Caspoggio. Il rifugio e l’alpeggio sono affollati come la combinazione di giorno della settimana e periodo dell’anno… impongono. Noi però andiamo di fretta. Corriamo di nuovo insieme agli ormai rari atleti della 90 chilometri, che abbiamo ritrovato poco più indietro, all'altezza del cancello orario dello Zoia, dopo una separazione che per noi è durata due chilometri e mezzo (per una quarantina di minuti), ma che per la maggior parte di loro è stata di ventidue chilometri circa (dato oggettivo) e un tempo invece troppo soggettivo invece per precisarlo e comunque mooolto lungo e faticoso.
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Prima di “picchiare” davvero verso il traguardo a metà tra Alpe Acquanera e Alpe Cavaglia, il traversone finale comporta la risalita di due o tre rampe secche, impone di contornare fino al loro punto più interno altrettanti valloncelli trasversali alla traccia di gara e per finire saltare da un masso all’altro dentro qualche sconnessa pietraia, che per fortuna negli anni anni è stata un po’… accomodata. Meno a rischio "scavigliate" rispetto al passato, mi concedo uno sguardo panoramico tutto intorno. Buona parte delle traccia di gara rientra nel campo visivo. Però, ne abbiamo fatta di strada (strada si fa per dire…) nelle ultime cinque ore e mezza o giù di lì. Alla compagnia di Monica e Giovanna si aggiunge quella di Sabrina che (per portarmi avanti) mi precederà di un secondo al traguardo del Centro della Montagna di Caspoggio e prima ancora quella di Andrea, la cui identità scoprirò solo qualche ora dopo, insieme all’amicizia su Facebook. Da quella virtuale a quella vera, lungo i sentieri: c’è una bella differenza!
All’altezza del Dosso dei Galli l’itinerario sterza improvvisamente a destra, lungo la pista da sci. Snobbano quasi tutti il ristoro (ormai è finita). A me però dispiace non favorire: i volontari sono qui da molte ore, quindi mi fermo a bere e ringrazio. Pazienza se perdo di vista i miei compagni di viaggio. Siamo al "tuffo finale verso il traguardo, ripidissimo: esagerandola, la sensazione assomiglia vagamente a quella del vuoto d'aria durante un volo di linea! Manca il terreno da... sotto il sedere, o meglio sotto alla suola delle scarpe. A proposito le mie ASICS Gel-Trabuco 11sono state ancora una volta fedeli e affidabilissime compagne di viaggio.
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Ultimi due o tre chilometri alla massima pendenza, poi una mulattiera nel bosco appena oltre le ultime case di Caspoggio verso nord. Sembra non finire mai! Finalmente… forziamo l’ingresso in paese: i vicoli, le gradinate, lo sbocco sulla piazza della chiesa, la gente che applaude anche se siamo indietro, i bambini che tendono le mani per scambiarci il “cinque”, il corso principale, poi la stretta bretellina che porta ad attraversare via Vanoni e ad imboccare il rettilineo finale. Sabrina è davanti a me: come d’abitudine, non le tiro la volata, anzi rallento un attimo e mi sposto sull'altro lato della passerella rispetto al suo, a favore di teleobiettivo. Sei ore e venticinque di gara (di meglio non mi è venuto) valgono bene un pizzico di vanità!
© S. Gatti