Fin sulla vetta della Grigna Settentrionale e ritorno. Momenti di wilderness totale e passaggi tra due ali di folla urlante. Il ricordo degli amici scomparsi, l’entusiasmo per una giornata di sport “mondiale”. Lo abbiamo vissuto, ve lo raccontiamo.
La luce dell’alba non ha nemmeno iniziato a lambire le cime delle Prealpi Lecchesi, nel momento in cui il quattro cilindri di Maia ammutolisce in un parcheggio strategico di Pasturo, il piccolo ma dinamico centro della Valsassina che oggi ospita l’elite mondiale dello skyrunning per la ZacUp Skyrace del Grignone, terzo dei quattro appuntamenti tricolori delle Migu Run Skyrunner World Series. Dopo quello di Livigno, eccomi qua pronto a buttarmi nella mischia, con il solito mix di passione e incoscienza.
Buio pesto in tutta la valle. Schiaccio un pisolino al posto di guida (comodisssssimo …), poi quando il cielo inizia a farsi livido e per così dire “metallico”, mi dirigo all’edificio scolastico in centro, per sbrigare le solite formalità. Sono tra i primi stamattina a ritirare pettorale e pacco gara e questo è di sicuro l’unico exploit che mi posso permettere … Nel giro di pochi minuti faccio già gli incontri giusti: quelli che “collegano” l’amore per questo sport ed il suo risvolto professionale. Ecco Maurizio Torri di sportdimontagna.com, alle prese con un mese di settembre infuocato, ecco Nicola Gavardi di Scott al quale non vedo l’ora di raccontare come si comporteranno nelle prossime sei-sette ore le Supertrace Ultra RC che proprio qui porto al debutto “ufficiale”, dopo un bel rodaggio tra i boschi del Parco di Monza. C’è naturalmente, parecchio indaffarato, anche Alberto Zaccagni, leader del comitato organizzatore del Team Pasturo, schierato in forze qui al “campo base” ed in giro per il percorso. Ha il volto un po’ più scavato di come me lo ricordavo alla metà di giugno a Livigno e non potrebbe essere altrimenti. La “sua” gara è entrata a far parte delle World Series e questo già di per sé giustifica la tensione. In più il Team ha perso nei mesi scorsi due vere e proprie “colonne”, due ragazzi che si erano spesi senza risparmio per arrivare a questo grande giorno: Gabriele Orlandi Arrigoni (scomparso nell’autunno del 2018) e Davide Invernizzi, proprio un mese fa. Il senso della giornata è – anche – un omaggio al loro lavoro ed alla loro memoria. Insieme al ricordo di Andrea Zaccagni (fratello di Alberto), caduto sul Cervino nel 2012 in questi giorni. Questa prova è nata proprio per ricordarlo. Ed è quello che facciamo (per tutti e tre) nel corso di una breve ma emozionante cerimonia sulla linea di partenza, da stretta al cuore.
Poi è gara.
E che gara, da subito.
Davanti abbiamo ventisette chilometri e mezzo di strada. Anzi di mulattiere, sentierini, passaggi attrezzati, pietraia, roccia.
E poi abbiamo 2650 metri di dislivello positivo.
27,5K x 2650m d+ … Una formuletta semplice e corta, che però … la dice lunga su quello che ci aspetta.
Viaggiamo già a buon ritmo (ma qui sto più che altro dando voce ai leaders) fino al pratone di Tevena, poi puntiamo sul Rifugio Riva dove ci aspetta un primo assaggio di “torcida” in puro stile valsassinese. Tifo senza risparmio, gente che si è mossa di buon’ora per venire quassù a spellarsi le mani per noi …
Ma chi glielo fa fare? Non lo capirò mai fino in fondo.
Il discesone che segue è da godimento allo stato puro. Almeno per chi apprezza questo genere di piaceri mica tanto sottili. Ginocchia e caviglie hanno raggiunto la temperatura giusta, “racing”. Lavorano come di deve, MA ne riparliamo tra qualche ora … Percorso il Sentiero dei Faggi, eccoci al Passo della Stanga ed alla caratteristica scala metallica che ci permette di superare un salto di roccia. Ma è solo l’antipasto delle difficoltà vere, come … il parco giochi al confronto della foresta amazzonica: anzi della giungla. Si perché siamo in uno dei punti-chiave del percorso. Stiamo girando intorno al Grignone, ad una quota ancora relativamente bassa. Lo corteggiamo in un certo senso, lo assediamo come dei lupi che circondano la preda. Ma siamo solo dei … lupacchiotti perché in realtà è Lei, la Montagna, a dettare tempi e modi … Sopra di noi si profila la spettacolare parete Fasana, ma lo dico sulla fiducia perché la nebbia avvolge ormai tutta la zona. La paretina dello Zapel è il prossimo piatto del menu: pepato direi, anzi piccante. Per una ventina di minuti ci si innalza a forza di corde fisse e catene, ma ci sono pure dei pini mughi ed io mi attacco anche ai rami … L’ambiente richiama un po’ la prima salitona della LimonExtreme, che mi attende ancora una volta alla metà di ottobre sul Lago di Garda. Poco a poco la verticalità diminuisce. La parete è adesso un po’ più “appoggiata” al corpo principale della montagna e le difficoltà si esauriscono con la risalita di un ghiaione che (tanto per continuare con le citazioni) a me ricorda la rampa finale della traccia che porta al Passo Ventina, uno dei GPM della Valmalenco Ultradistance Trail … Invece siamo qui, in un ambiente forse addirittura più selvaggio, da wilderness allo stato puro e dal carattere quasi dolomitico oppure “alaskano”. Scavalliamo al Passo dello Zapel. Si tira il fiato e – ancora una volta - peccato non poter ammirare la parete nord della Grigna Settentrionale e la Via del Nevaio. D’altra parte, non c’è tempo da perdere perché la diretta concorrenza è pronta a scapparmi via al minimo segno di distrazione. Quindi, giù a tutta verso il Rifugio Bogani che raggiungo sul lato opposto della costruzione rispetto ad un anno e mezzo fa nel corso della Esino Skyrace, tra tracce di neve e sotto un nubifragio, mezzo congelato … Stavolta per fortuna l’unico bagno al quale ci dobbiamo sottoporre è quello di folla, l’ennesimo. Due o tre tocchetti di banana, l’acqua, i sali e via che la giostra riparte. Di nuovo in salita lungo il sentiero della Ganda: direzione Rigugio Brioschi, ai duemilaquattrocentodieci metri della vetta del Grignone. La quota aumenta, la vegetazione si abbassa, fino a diventare nana per poi … estinguersi, gli ultimi arbusti inghiottiti “carsicamente” da massi sempre più grossi: macigni … arcigni. Fino a quando arriva il momento di salirci sopra, di scavalcarli, aiutandosi con corde e catene. Un lungo traverso all’ombra della parete. Alcune persone lungo la traccia identificano un certo Ghezzi che evidentemente mi sta braccando e che, sento dire, da queste parti è famoso per essere salito qualcosa come cinquemila volte su questa cima. Mah, mi sembrano un po’ troppe. Fatto sta che mi raggiunge e mi supera sulle ali del tifo che lo accompagna. Poi però rimane lì a tiro, non mi scappa via ed allora mi faccio tirare da lui verso l’alto. Nei punti più tecnici ed “affollati” lo vedo scartare a sinistra o a destra di quel tal canalino o stretto passaggio tra le rocce senza pensarci su, arrampicandosi su per immaginarie vie parallele che chiaramente conosce a memoria. ”Se passa lui, posso passare anch’io”. E via di corsa, anzi di corsia preferenziale, guadagnando qualche posizione, senza stare a guardarmi indietro, in basso, perché (quando lo faccio) ehm … in effetti era meglio di no …
Siamo ormai sbucati in pieno sole, sopra il mare di nuvole che avvolge – uniformemente - verso sud la Pianura Padana. Verso nord invece il panorama è molto più articolato ed interessante: anzi direi proprio da lasciare a bocca aperta. La coltre nuvolosa si distende (come una coperta, appunto) sull’Alto Lecchese e sulle Valli Bergamasche. Emerge solo la testata delle Prealpi Orobie: dal Legnone al Pizzo Coca direi. Una bellissima “quinta” naturale alle cui spalle (ugualmente percorso dalle nuvole come il letto di un fiume) si intuisce il solco della Valtellina, stretta tra le Orobie stesse ed un’altra muraglia. Quella grandiosa delle Alpi Retiche: Pizzo Badile, Cengalo, l’intera testata della Valmasino (che fa sognare il Trofeo Kima 2020!), Monte Disgrazia, Piz Bernina e l’inconfondibile piramide del Pizzo Scalino. Una scenografia immane e perfetta per una “rappresentazione” che va in scena da intere ere geologiche … Si tratta dello spettacolo che si può ammirare nell’immagine che illustra questo servizio, che ci è stata gentilmente concessa dal suo autore Simone Bonetti, interrompendo … solo per qualche decina di secondi la sua gara, poi conclusa in 125esima posizione, appena alle spalle dell’amico Vittorio Pedrazzoli, mio compagno di squadra nel team della Sportiva Lanzada, la cui “spedizione” alla ZacUp 2019 è completata da Andrea Manes, che al traguardo occuperà la 119esima piazza. Quanto a me, dopo averli salutati al via, rivedrò entrambi solo all’ora del pranzo conviviale, visto che la mia fatica la porterò a termine in 267esima posizione, dopo cinque ore e 23 minuti di gara …
La vetta intanto è ormai in vista ma il senso che meglio restituisce la sua vicinanza è l’udito. Fin dall’attacco della traccia che – una svolta dopo l’altra – percorriamo in colonna come dei dannati (magnifici dannati) – arrivano le urla dello speaker e gli incitamenti del pubblico che affolla le ultime decine di metri della salita e l’area della vetta. Il titolo potrebbe essere (anzi è) “Welcome To The Jungle” perché poi in effetti la colonna sonora ascoltata all’altezza di tutti i rifugi toccati dalla corsa è la musica rock che ci carica a molla. Afferro le ultime catene e mi isso fino in cima. Atmosfera indescrivibile, tifo assordante, sali e banana. Via, giù lungo la discesa: lunghissima, praticamente infinita, da non sottovalutare perché – con sedici chilometri di salita alle spalle ma soprattutto undici di discesa appunto davanti – combinare un guaio è un attimo. Faccio molta fatica, sono quasi in riserva in termini di energie e di lucidità e non ci sono integratori, frutta o barrette che tengano. Per di più, gli appassionati che hanno assistito al passaggio dei toprunners adesso stanno scendendo verso valle e, per quanto si sforzino di stare fuori dal percorso di gara, tendono a generare un po’ di confusione. Non so mai bene se sto correndo dietro ad un atleta in gara (più o meno “provato”) o ad uno spettatore che si sta abbassando verso valle a buon ritmo … Supero il controllo ai Comolli, poi l’ennesimo assembramento davanti ad un rifugio, dove l’amico Riccardo dei Falchi di Lecco mi regala uno scatto nel quale ho uno sguardo completamente assente. Spiritato. Infatti, appena ripartito, butto lì a due escursionisti che incrocio un:
-“Ma scusate, dove siamo, quello lì che rifugio era …?”
-“L’Antonietta al Pialeral!”
-“Ah, ok …”
Poco sotto un collega straniero (non so di quale nazionalità) che corre qualche metro davanti a me ruzzola in mezzo ai sassi appuntiti ma si rialza appena un po’ scosso. Lo affianco e lo saluto con un “Are you ok? Still quite a long way ahead” che, mi rendo conto solo più tardi, non era granché incoraggiante … Eppure lui è felice: sbucciato, un po’ sanguinante ma completamente, disperatamente felice. Poco più sotto tocca a me pagare dazio, con il solito “richiamino” alla caviglia (la sinistra ancora una volta) degli ultimi chilometri. Storta evitata per un soffio con contorno di imprecazioni assortite e prolungate ma per fortuna a bassa voce. Il fondovalle si avvicina. E sto correndo nei bassifondi delLA classifica o quasi. Praticamente un altro … fuso orario rispetto ai campioni, ma pazienza. Inaspettatamente, mi viene la “scimmia” ed inizio a correre a perdifiato, con la bava alla bocca, “puntando” il raggio laser rosso sulla schiena di chi mi precede. Ne acchiappo due o tre, tra i quali il Ghezzi, quello delle cinquemila Grigne in carriera. Ultimo strappetto, quello che porta all’agriturismo Brunino: è breve, brevissimo ma è anche ripido, ripidissimo, ed arriva dopo tre chilometri di falsopiano. Non ho la prontezza di fare mente locale sulla potenziale insidia. E non sono l’unico. Chiara del Team Pasturo, che mi precede, salta letteralmente per aria imprecando: crampi! Da piangere! Manco il tempo di compatirla che vengono anche a me. Mi trascino come una bestia ferita fino al ristoro e mi aggrappo alla staccionata …
-“Dai, riprendiamo. Prova a corricchiare, vedrai che passa”.
Gli ultimi tratti di acciottolato, ormai in perfetta solitudine.
Quasi estasi.
le prime case di Pasturo. Le ultime svolte ad angolo retto sull’asfalto. Occhio a non fare … cavolate proprio adesso. Uno stretto passaggio tra due giardini. Sfocia nella salitella finale. Sono ancora da solo. Gli ultimi “Bravo Stefano, dai che è finita”! Ormai solo più una cinquantina di metri, quaranta, il groppo alla gola, trenta, gli ultimi venti sul red carpet, il “cinque” alla speaker Tania. Traguardo. Mi appoggio alla transenna e uno lì dietro mi fa:
-“Dura, eh ..!?
-“Si, si …”
Domanda e risposta entrambe piuttosto scontate.
Unica concessione alla banalità dentro una giornata eccezionale sotto tutti i punti di vista.
Grazie Andrea, Gabriele, Davide.
Grazie ZacUp!
Welcome To The Jungle.