La sorella Daniela ricorda per noi il fratello Leonardo, scomparso il 26 febbraio del 1985 dopo quasi sei anni in stato di coma
di Stefano Gatti© Archivio Fotografico Famiglia David
Fare memoria significa provare dolcezza o dolore: mai in parti uguali, una o l’altro. Di qua o di là. Occorre tornare alla radici della memoria stessa per rintracciare una sintesi - questa sì possibile - di serenità e rassegnazione. Perché del dolore no, dal dolore non si può prescindere e non leva mai il disturbo.
Leonardo David era molto più di una promessa dello sci alpino italiano. Il suo talento aveva già lasciato il cancelletto di partenza, la sua classe disegnava già curve inconfondibili e infatti solo sue lungo la pista, la personalità del campione lo aspettava sulla linea d’arrivo di un traguardo che Leo non avrebbe mai attraversato. A fermarlo una caduta (non solo metaforica), anzi due: la prima venerdì 16 febbraio del 1979 nelle prove della discesa libera di Cortina d’Ampezzo, la seconda poco più di due settimane più tardi - sabato 3 marzo - in quelle della libera preolimpica di Lake Placid, negli Stati Uniti. Leonardo sarebbe sopravvissuto per quasi altri sei anni ma in stato di coma vigile. Una condanna - per lui e per la sua famiglia che dura ancora a quarant'anni dalla sua scomparsa, avvenuta martedì 26 febbraio del 1985.
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Leonardo riposa con i suoi genitori nel piccolo cimitero di Gressoney-Saint-Jean. La tomba di famiglia è nascosta ai più, addossata com’è al muro che divide il camposanto dalla strada regionale SR 44 che attraversa il borgo valdostano e in poco più di una manciata di chilometri conduce in quello “gemello” di Gressoney-La-Trinité, là dove la Valle del Lys inizia davvero a fare i conti con la sua straordinaria testata: il Monte Rosa. La tomba è lì, invisibile a chi non conosce la storia di Leonardo e della sua famiglia: papà Davide, mamma Mariuccia e la sorella Daniela che a Gressoney-La-Trinité gestisce il negozio di articoli sportivi David Sport, a pochi passi dal piccolo parco giochi che fa da parterre d’arrivo allo storico Trofeo Mezzalama di scialpinismo. Sempre orgogliosamente pronta, dolcemente (e al tempo stesso dolorosamente, come scrivevamo all'inizio) disponibile a raccontare la storia di Leonardo, Daniela. Proprio come ha fatto con noi.
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SPORTMEDIASET: Daniela, prima di tutto grazie per aver accettato la nostra richiesta di una conversazione che immaginiamo risvegli un dolore mai sopito e una ferita più che mai aperta in ocasione di queste ricorrenze.
DANIELA: Mi fa sempre piacere ricordare Leonardo. Non ho mai rifiutato un’intervista per parlare di lui. Tra di noi ci sono solo quattordici mesi di differenza: io sono di luglio 1959, lui era nato il 27 settembre del 1960. Siamo cresciuti insieme. La prima immagine che mi viene in mente è quella di noi due che giocavamo e andavamo a sciare insieme con gli amici comuni. Litigavamo anche, come si fa tra fratelli. Avevamo pure lo stesso gatto. Le prime volte andavamo via insieme, perché lui non aveva ancora la patente: ricordo di averlo accompagnato ad una premiazione ad Asolo e poi ancora a quella dell’Atleta d’Oro a Milano. Più delle cose belle però mi vengono però in mente quello brutte. Sono passati tanti, tanti anni. E tanta sofferenza.
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SPORTMEDIASET: Come viene vissuto nella tua valle il ricordo di quanto è avvenuto ormai quattro decenni fa? La gente del posto conserva memoria di Leonardo? E i turisti che la frequentano d’estate e d’inverno conoscono la sua storia, la vostra?
DANIELA: Quella di Gressoney è una comunità molto piccola: Leonardo qui se lo ricordano tutti. Non me lo vengono a dire ogni giorno ovviamente, perché sanno che pensare a lui mi fa venire il groppo alla gola. In questi giorni però mi sento dire: “Ci fosse ancora Leo… Ma davvero sono passati quarant’anni?” Qui a Gressoney-La Trinité c’è una bellissima targa in suo ricordo nella piazzetta del paese a Tache. Leonardo è sepolto nella tomba di famiglia nel piccolo cimitero che si trova a Gressoney-Saint-Jean. Sono passati tanti anni ma ancora oggi capita che qualcuno entri in negozio e mi chieda dove poterlo andare a trovare.
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Qui tengo una bacheca con le sue foto, le medaglie, i ritagli di giornale, la Coppa Europa, la prima vittoria in Coppa del Mondo. Ci sono anche le medaglie del nostro papà Davide che è stato due volte campione italiano: sugli sci naturalmente. Ecco, pensando a Leo sono triste e ormai rassegnata, ma anche serena quando penso che adesso lui e i nostri genitori sono là insieme e si fanno compagnia. A volte i clienti entrano, vedono la bacheca e chiedono. Io allora li invito a fare una ricerca online. Certo, qualcuno riconosce Leo e se ne ricorda ma ormai siamo tutti in là con gli anni. Se lo ricordano solo le persone della mia età… e di Leo.
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SPORTMEDIASET: Quando è successo l’incidente decisivo negli USA Leonardo era solo all’inizio della sua carriera in Coppa del Mondo ma era considerato già un campione. Parlavano di lui come dello sciatore che avrebbe potuto sfidare Ingemar Stenmark, mentre a posteriori è stato definito l’anello di congiunzione tra la Valanga Azzurra e Alberto Tomba.
DANIELA: Lui non avvertiva pressioni o responsabilità particolari, non si sentiva erede di nessuno. Capisci, non aveva ancora diciannove anni! Era un fuoriclasse, un fenomeno. Sapeva sciare e nessuno glielo aveva insegnato: un talento naturale. Ha avuto anche lui suoi maestri logicamente, qualcosa gli avranno insegnato, ma lui semplicemente lo sci lo aveva nelle gambe. Quando vedo giocare Sinner non è che lo paragoni a Leonardo (sci e tennis sono due sport diversissimi), però come carattere un po' sì: tranquilli, di poche parole, metodici. La sua sciata con gli sci larghi era solo sua. La praticava solo lui, glielo riconoscevano gli osservatori più attenti. Non me la sento però di dire che avrebbe fatto scuola, perché poi a diciotto anni e mezzo era già in coma. Il punto è quello: tutto troppo presto.
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SPORTMEDIASET: Te la senti di parlarci dei sei anni trascorsi dall’incidente di Lake Placid alla scomparsa di Leonardo?
DANIELA: Sopportare quei sei anni di coma di Leo è stato difficilissimo. Di più: veramente una tragedia disumana per mia mamma, per mio papà e per me. Per tutta la nostra famiglia. È stato come se fosse finito un pezzo della vita di ognuno di noi. Leo poi era un personaggio conosciuto. Pensando ai quei tempi io dico sempre: dalle stelle alle stalle. Prima sei un idolo, poi ti capita una cose del genere e cambia tutto. Per carità, Leo è sempre stato seguito, abbiamo ricevuto tante lettere e telegrammi, tutto conservato da mia mamma insieme ai ritagli di giornale che parlavano di lui. Oltretutto “dopo” non è che tutto riparte come vorresti: la lacerazione resta. Magari sei un po’ sollevato ma c’è sempre un’ombra dietro, qualcosa che ti spezza. A me dicevano: è meglio così. Sì ma a quel punto Leo non era nemmeno più lì in casa con noi. Prima almeno era una presenza tra di noi, poi è morto e non c’è stato più. Punto. Tutto finito, basta. Certo, non c’erano speranze di ripresa ma non sapevi proprio cosa pensare: finirà, non finirà, chissà come finirà. In fondo al cuore una piccola speranza resisteva.
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SPORTMEDIASET: Anche dopo Leonardo, sulle piste da sci della Coppa del Mondo e non solo, nel corso degli anni sono avvenuti alcuni gravissimi incidenti, in qualche caso fatali. Il caso più recente risale allo scorso autunno: la morte di Matilde Lorenzi in allenamento sulle piste della Val Senales. Come reagisci quando apprendi notizie come queste?
DANIELA: Mi vengono in mente loro, il dolore delle loro famiglie. Sono cose enormi, difficili da immaginare, così come è stato per noi nei sei anni di coma di Leonardo. Quando è successo l’incidente mortale di Matilde Lorenzi mi hanno chiamato dei giornalisti. Ho detto loro: non so se siano stati più “fortunati” i suoi familiari oppure più sfortunati noi a vivere sei anni con un figlio, un fratello a casa in stato di coma. Pensa che abbiamo anche consultato Beppino Englaro, il papà di Eluana (la ragazza lecchese morta per interruzione dell’alimentazione artificiale sedici anni fa dopo diciassette di stato vegetativo, ndr), che è venuto qui a trovarci. Sai, ad un certo punto le pensi tutte, anche l’eutanasia. Tornando a Matilde, provo tristezza per la sua famiglia, per tutti i suoi familiari. Lei poi è morta nel giro di poche ore, poverina. Era il suo momento. Il fatto è che oggi sugli sci si va troppo veloci, basta guardare le gare di Coppa del Mondo: fanno paura! Materiali supersonici, piste super tirate, sci da centocinquanta all’ora, vanno più forte che in macchina ma sono in equilibrio su due sci. Ai tempi di Leo, in caso di incidente, non c’era neanche la TAC, infatti non gliel’hanno fatta, ma semplicemente perché non esisteva. Lui doveva essere seguito di più ma non è stato così, però cosa cosa ci vuoi fare ormai... Sono passati quarant’anni, anzi di più. Sono cambiati i tempi, è cambiato tutto: è cambiato il mondo. Anche quello delle gare, anche la sicurezza. Oggi anche gli sciatori di tutti i giorni, i turisti, vanno troppo forte. Sci super e piste tiratissime anche per loro, non solo per i professionisti. Io nel mio negozio vendo i caschi e magari i clienti tentennano a spendere qualcosa in più per uno migliore di un altro. Ti dicono: ma tanto a me non succede. Eh no, non puoi dire tanto a me non succede! Uno crede di essere al sicuro ma è un attimo perdere il controllo. Lo sci non è pericoloso di suo, non più di altri sport. Il rischio è sempre dietro l’angolo, come in tutti gli altri sport.
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