Per alcuni la stagione della consacrazione, per altri quella della rinascita
Tre nomi sullo scudetto numero 19 della storia dell’Inter. Tre certezze, tre giocatori determinanti nei loro rispettivi ruoli. Sono Lukaku, Barella e Hakimi. LUKAKU - È diventato il simbolo di questa squadra, l'ha presa per mano e trascinata in testa alla classifica. L'Inter non può prescindere da lui. Conte l'ha voluto a tutti i costi, Conte in ogni occasione abbraccia il suo gigante. Big Rom è potenza allo stato puro, è forza della natura che gli avversari non riescono a fermare, è energia contagiosa per i compagni. Non solo per Lautaro Martinez, con cui ha trovato un'intesa perfetta e con cui forma la LuLa, una sigla che è diventata un marchio di garanzia di gol e assist. Ventuno le reti messe a segno da Lukaku in questo campionato (cinque su rigore), dieci gli assist: è il primo giocatore capace di realizzare almeno 20 gol e servire almeno 10 assist in una stagione di Serie A negli ultimi 15 anni. Leader in campo con l'animo umile, perché "senza la squadra non sono nessuno".
BARELLA - L'Inter ne ha celebrato sui propri canali social l'inesauribile energia. Quella di Barella è stata la stagione della consacrazione: con tre assist e sei centri ha ottenuto il suo miglior rendimento in Serie A. Ventiquattro anni compiuti a febbraio, il centrocampista ex Cagliari ha raggiunto la piena maturità calcistica. Tecnica eccelsa, gol mai banali. Uomo a tutto campo e motore inesauribile. "Un giocatore completo, europeo", ha detto di lui il ct della Nazionale Roberto Mancini, indicandolo come la possibile stella dei prossimi campionati continentali. "Credo che il gol alla Juve lo abbia ufficialmente consacrato come miglior giocatore italiano", le parole di elogio di un grande ex campione come Gigi Riva, idolo di Cagliari dove Barella è nato e cresciuto. E lo stesso Nicolò ha indicato la partita vinta contro i bianconeri come la gara della svolta, "quella che ci ha reso consapevoli della nostra forza". La strada è tracciata: l'Inter è pronta a 'blindarlo' a tripla mandata e a regalargli un futuro da capitano.
HAKIMI - È arrivato all’Inter a titolo definitivo dal Real Madrid dopo due stagioni con la maglia del Borussia Dortmund. L'esterno marocchino, pagato 45 milioni tra parte fissa e bonus, ha messo subito in mostra le sue doti offensive e quella velocità che è la sua arma migliore. Ma Conte ha preteso da lui anche una crescita in fase di copertura. Qualche iniziale prestazione sottotono, l'erroraccio in Champions League contro l’ex Real con il retropassaggio diventato 'assist' per Benzema e le certezze di Hakimi si sono incrinate. La fiducia di Conte e in se stesso le ha riconquistate grazie al lavoro e alla maggior disciplina tattica. E Hakimi si è ripreso il posto da titolare, ritrovando gol e assist (sette e sei in totale). Suo il pallone per il l'1-0 di Darmian contro il Verona che spinge l'Inter verso lo scudetto, suo il gol del 2-0 al Crotone che mette il timbro al titolo.
Eriksen, Perisic e Skriniar: tre storie diverse, un destino comune. Da giocatori destinati a partire perché incompatibili con il gioco di Conte o per necessità di fare cassa a elementi chiave nella conquista del 19° scudetto dell’Inter. Merito al tecnico nerazzurro di averli recuperati, valorizzandoli al meglio. Merito dei singoli che hanno scalato le gerarchie interne, guadagnandosi la sua fiducia.
ERIKSEN - Minuti su minuti in panchina, aspettando il suo momento. Che sembrava non arrivare mai. Uno spezzone nei finali di partita, a volte anche attimi. Troppo poco per dispensare saggezza calcistica e per consolare i suoi strenui ammiratori che non smettevano di chiedersi, tra incredulità e rabbia, "Perché lui mai?". Lui è Christian Eriksen, il danese timido e dalla faccia triste, è rimasto al suo posto. Qualche frase sibillina pronunciata quando faceva ritorno in Nazionale e dove finalmente poteva tornare a sentirsi il giocatore importante che era, ma niente più. A un certo punto si è ritrovato sul mercato: "Non funzionale al progetto", recitava l’etichetta che accompagnava il suo nome e cognome. Non è arrivata l’offerta giusta e per l’Inter è stata una fortuna. Perché a quel punto Conte ha deciso di tornare sui suoi passi scardinando le sue vecchie certezze, plasmando il materiale pregiato che aveva in casa per renderlo utile alla causa nerazzurra. Dalla magia su punizione contro il Milan, nel recupero che ha regalato all’Inter la semifinale di Coppa Italia, all’idea di schierarlo come doppio regista al fianco di Brozovic. Eccola qui la doppia svolta della stagione del centrocampista classe 1992, che da 'problema' è diventato pedina inamovibile della squadra. Perché con lui la palla viaggia di prima e la sua velocità di pensiero calcistico è musica per i compagni. E il suo primo gol in campionato, quello dell’1-1 al 'Maradona' di Napoli, vale tantissimo perché evita la sconfitta e spiana la strada verso lo scudetto. Anche la maschera triste alla fine è scomparsa.
PERISIC - È tornato all’Inter dopo una stagione incredibile al Bayern Monaco, con cui ha realizzato il Triplete e sollevato la Champions League. Niente riscatto da parte del club bavarese, nonostante il bilancio positivo della sua esperienza in Germania. E quindi il rientro alla base, ma con il suo nome ancora nella lista partenti e alla fine un nuovo ruolo da imparare per non sparire definitivamente dal radar di Conte. Il tecnico gli ha chiesto di sacrificarsi, un po' come Mourinho aveva fatto con Eto’o, che a un certo punto nell'anno del Triplete si era ritrovato a fare il terzino se questo era ciò che serviva alla causa. E così Perisic da esterno d'attacco si è trasformato in esterno 'totale', giocatore 'fisico' di spinta e fabbrica del cross ma anche pronto al sacrificio in fase difensiva per dare più equilibrio alla squadra. Merito di Conte ma anche merito suo: si è rimesso in discussione ed è diventato padrone di quella fascia, scalzando Young.
SKRINIAR - Se la difesa dell’Inter è diventata un muro, è anche grazie alle sue prestazioni e a un'intesa perfetta con i compagni di reparto De Vrij e Bastoni. La retroguardia a tre di Conte lo aveva messo in crisi e in estate la sua partenza sembrava praticamente certa, con destinazione il Tottenham di Mourinho: ora Milan Skriniar di quella retroguardia ne è un interprete imprescindibile, tanto che a Crotone ha collezionato la 33.a partita di fila da titolare (!). Ma dalla parte dello slovacco anche tre gol segnati pesantissimi, nella vittoria per 2-1 a Verona, nel 2-2 a Roma contro i giallorossi e quello che è servito a battere l'Atalanta a San Siro.