Ha dato molto ai bianconeri e ricevuto moltissimo: ma ora lo chiama il suo Boca
E ora si faccia avanti chi, quando Carlitos Tevez mise piede in casa juventina, era convinto che oggi si sarebbe celebrato uno dei giocatori più forti d’Europa. Certo, quando arrivò non era mica un illustre sconosciuto, a Manchester fu Un idolo prima per i Red Devils poi per i Citizens (anche se della città inglese i suoi ricordi principali sono gli unici due ristoranti e la pioggia continua), ma quel neo del gol nelle coppe che non arrivava mai cominciava a gettare qualche ombra sull’Apache: “Buon giocatore, certo – era il ritornello – ma i top player sono altri”.
Oggi, con la Juve sul tetto d’Italia per la quarta volta consecutiva, la seconda per l’argentino, e tra le grandi di Champions, ecco che Tevez ha definitivamente indossato la casacca del numero uno, tanto che nessuno storce più il naso se il suo nome ora viaggia a fianco di quelli di Neymar, Ronaldo, Robben e poi fate voi, tanto non si può sbagliare.
Tevez e la Juve, la Juve e Tevez, due entità complementari, uno ha fatto bene all’altra e viceversa, perché anche l’attaccante deve molto alla squadra che prima fu di Conte e poi di Allegri. Perché nel 2010 fu sfiorato addirittura dall’idea di lasciare: “Voglio tornare nel mio quartiere, Forte Apache, sono stufo del calcio di oggi e della gente che lo circonda, l’unico obiettivo sono i soldi..”. Tre anni dopo, l’atto d’amore verso i colori bianconeri fu sincero: “La Juve mi ha ridato la voglia di giocare al calcio, la cosa migliore per un giocatore è essere felice”.
E lui ha ripagato la Vecchia Signora nell’unico modo in cui un top player sa ripagare, con i gol. In Italia e in Europa, proprio dove segnare stava diventando una maledizione. Ha atteso, ha lavorato sodo, non si è mai spaventato davanti a nulla, non può fargli paura nessuno stadio, perché “ho solo paura di quello che accade nel quartiere dove sono nato, perché lì c’è la droga e ci sono gli omicidi…”.
Non si tira indietro nemmeno quando c’è da parlare, di solito poco ma in maniera efficace. Così come quando ha fatto capire chiaramente che alla scadenza di contratto se ne andrà, rivuole il derby argentino, prima di smettere vuole rivivere le emozioni di Boca Juniors-River Plate, la sua vera stracittadina, vuole rispolverare la “galinita”, uno dei suoi tanti modi di esultare, quello oggi a lui più caro.
Gambe esplosive, tiro devastante, un primo passo difficile da tenere per ogni difensore, Arrigo Sacchi lo definisce un giocatore “senza controindicazioni”. Quante volte lo Juventus Stadium è venuto giù non solo per le sue reti ma dopo averlo visto inseguire un avversario per tutto il campo, roba da gente vera, come lo è Carlitos, l’Apache. Tornerà presto in Argentina e in molti lo rimpiangeranno, è il destino dei numeri 10, lui il numero l’ha ereditato da Alessandro Del Piero e prima o poi quella maglia passerà di mano. Diventando, stagione dopo stagione, sempre più pesante da indossare.