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Scudetto in tre partite: Napoli, Lazio e Inter le svolte della stagione della Juve

Sempre criticata per l’essenzialità del suo gioco, la squadra di Allegri non ha preso gol per sedici partite di fila. E tutto è cominciato a Marassi, sponda Genoa. Decisiva l’adattabilità del 4-3-3 rispolverato al San Paolo

14 Mag 2018 - 09:44

Nell’anno 2018 dopo il Cristo e nell’anno primo dopo il Var la Juventus vince il settimo scudetto di fila, il 34esimo nella sua storia. Il quarto titolo di Massimiliano Allegri ha un sapore speciale: mai come quest’anno la Juve ha avuto tanto filo da torcere e mai come quest’anno i bianconeri hanno dato l’impressione di poterlo perdere. Non si tratta delle due facce della stessa medaglia ma di un campanello d’allarme in vista della prossima stagione, con o senza Allegri.

I bianconeri ci hanno messo del loro per non vincere lo scudetto. Archiviato lo shock della Supercoppa italiana il 13 agosto (3-2 Lazio al 94’ per un buco di De Sciglio dopo aver rimontato due reti con la Joya), la partenza del campionato è stata puntellata dal miglior Dybala di tutta la stagione. Colui-che-non-può-essere l’erede di Messi segna al debutto col Cagliari, decide da solo con una tripletta la trasferta di Genova (2-4  col Genoa dopo lo 0-2 iniziale e sviste Var), timbra col Chievo e riserva altre tre reti al Sassuolo a Reggio Emilia.

La Juve non convince ma ne vince sei di fila prima di incepparsi con Atalanta (2-2) e soprattutto con la Lazio allo Stadium (1-2). Tutti a puntare il dito sui due rigori falliti dall’argentino, di fila ed entrambi decisivi. Allegri, toscano alquanto navigato, sposta il mirino sul gruppo capace di sprecare a Bergamo il doppio vantaggio e con i biancocelesti l’1-0 di Douglas Costa e una certa superiorità. Siamo a ottobre, i nuovi acquisti come vuole la consuetudine Allegri vengono gestiti quasi col contagocce, tranne Matuidi. Arrivano le prime critiche alla luce del calcio champagne di Sarri, della regolarità dell’Inter capolista e del gioco scarno e vincente di Torino.

Il modulo è sempre il 4-2-3-1 ereditato dalla passata stagione, con pochi ritocchi dovuti più che altro ad infortuni e cali di forma. Sul banco degli imputati finisce la difesa, passata da linea Maginot a colabrodo dopo la separazione consensuale da Bonucci. Fa niente se con Udinese, Spal, Milan, Samp e Crotone Higuain e soci mettono dentro 19 reti, portandosi a casa altri dodici punti.

Il (3-2) del 19 novembre a Marassi sponda blucerchiata per molti è il punto di non ritorno: quattordici reti incassate in quattordici partite sono il capolinea agonistico della Juve e di Allegri.

L’allenatore dimostra di saperne una più di tutti, cambiando modulo proprio nella prima delle tre gare che decideranno lo scudetto numero 34. La Juve parte col 4-3-3, impreziosito dal pesantissimo gol in avvio di Higuain. Dopo settimane di prove e ripensamenti, Allegri piazza in mezzo alla difesa in modo definitivo Benatia e Chiellini; a destra chi sta meglio tra De Sciglio, Lichtsteiner e, all’occorrenza Barzagli; a sinistra Alex Sandro (con Asamosah valida alternativa). In mezzo Pjanic, con Khedira e Matuidi angeli custodi o pericolosi incursori all’occorrenza. Primo cambio Betancour. Marchisio e Sturaro praticamente non vedranno mai il campo. In avanti intoccabile Higuain (fuori solo per una crisi passeggera e dopo la botta con Sirigu nel derby di ritorno) con la possibilità di scegliere chi e come fargli girare in intorno in un roaster fatto da Dybala, Mandzukic, Douglas Costa, Cuadrado e Bernardeschi. Cinque fior di giocatori per due maglie. Dei due in campo, uno gioca tra le righe, l’altro presidia una fascia.

Il Napoli s’inceppa al San Paolo e i punti di vantaggio sui bianconeri scendono da quattro a uno. Quasi un distacco premonitore della supersfida del 22 aprile. La settimana dopo niente bis contro l’Inter: a Torino finisce 0-0 con i nerazzurri più che in partita. Vincere a Napoli e non perdere con quell’Inter è il semaforo verde per il club di Andrea Agnelli.

Allegri ha trovato l’assetto quasi perfetto per il campionato (per la Champions il discorso è diverso). La squadra assimila e reagisce, soffre e si chiude in difesa quando c’è da soffrire (vedi con la Roma alla vigilia di Natale) e qualche volta pecca, specchiandosi troppo nella sua essenzialità. Sono le settimane della rimonta: dal 17 dicembre al 14 marzo la Juve le vince tutte. Dove tutte sta per dodici partite di fila con una difesa tornata insuperabile.

Il dato è noto: dopo i tre gol di Marassi, la Juve incassa una sola rete in campionato (Caceres a Verona) in 16 partite. In pratica un intero girone. Buffon e Szczesny raccolgono il primo pallone finito alle loro spalle sabato 31 marzo 2018 quando Bonucci di testa beffa Barzagli, Chiellini e Buffon in Juve-Milan (3-1).

In mezzo a questo girone da imbattuti tanti, tantissimi punti pesanti in campi dove la squadra di casa gioca la solita partita “che vale un’intera stagione". E’ il caso di Firenze (con il classico gol dell’1-0 dell’ex Bernardeschi), Cagliari (vittoria molto contestata per l’arbitraggio di Calvarese) e soprattutto Olimpico versante Lazio. Questa è la seconda sliding door del campionato: la Juve pensa al Tottenham in Champions e gioca la peggior partita in stagione ma quando lo 0-0 sembra scritto negli almanacchi Paulo Dybala la tocca piano e al 93’ la mette dentro. La vittoria non meritata diventa vittoria-quasi-scudetto qualche ora dopo quando la Roma infilza il Napoli al San Paolo. E’ il sorpasso, funestato il giorno dopo dalla scomparsa di Astori. Di lì in poi sono i partenopei a dover rincorrere, a non avere più il loro destino nelle loro mani.

Tra le mani la Juve sogna di alzare la Coppa dalle grandi orecchie e, dopo l’impresa di Wembley, tenta il tutto per tutto con il Real Madrid di Cristiano Ronaldo. Sappiamo come è andata. Le ripercussioni su gambe e fisico si fanno sentire, eccome: Allegri mescola le carte ma la spia della riserva lampeggia. La difesa prende gol praticamente da tutti, Benevento e Crotone compresi (con tutto il rispetto, ovviamente) e poi Napoli e Inter.

Domenica 15 aprile Donnarumma allontana il Napoli a sei lunghezze (0-0 a San Siro) ma tre giorni dopo Simy inventa una rovesciata alla CR7 e il big match a Torino con il Napoli si gioca a parti invertite rispetto all’andata. Ad essere a +4 ora è la Juve, favorita da due risultati su tre. La Juve non gioca da Juve, quasi non gioca del tutto. Al resto ci pensa Koulibaly.

Campionato riaperto con quattro giornate non consigliate ai deboli di cuore. Assolutamente da non mostrare loro i primi 87 minuti di Inter-Juve dove Icardi e soci mettono sotto la Juve nonostante la superiorità numerica e un abbaglio di Orsato su Pjanic. Nemmeno il tempo di riaprire il Calciopoli-ter o –quater che Simeone e la Fiorentina rispediscono il Napoli nell’inferno calcistico. Il Torino, nemico di sempre, ferma il Napoli a tre turni dalla fine e permette alla Juve di arrivare a un solo punto dal trionfo. La festa è ufficiale una settimana dopo, all'Olimpico, contro la Roma. La Juve è ancora campione.

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