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Cuore tifoso Juve: lo vinciamo strano. scudetto di tutti e di nessuno, ma poi c’è il decimo

Un titolo vinto prima della pausa Covid, adesso la Champions

di Luca Momblano
26 Lug 2020 - 23:45

Infine lo scudetto numero nove del ciclo Agnelli (che è anche il trentottesimo nella contabilità del casato sabaudo) è arrivato, e non è stato neppure così tanto agognato non fosse stato per la girandola di numeri in classifica - e di risultati in altalena - delle estranianti emozioni del post-Covid. Senza pubblico, senza trasporto, senza la possibilità esatta di darne una definizione più precisa: lo scudetto della Juve di Sarri è stato in sostanza vinto prima della sosta, quando la squadra ha annientato per due volte l’Inter tra ottobre e marzo. L’estate bianconera sarà a questo punto unicamente la Champions League che partirà azzoppata dall’1-0 a favore del Lione consegnato in mano ai francesi nel febbraio scorso.

Il giudizio è presto fatto: la Juventus lo ha meritato, Maurizio Sarri lo ha involontariamente agitato prima per i problemi di salute che ne hanno condizionato la prima immersione in un mondo a lui estraneo come quello della Vecchia Signora e poi (un paio di volte soltanto) sostituendo Cristiano Ronaldo senza accordi preventivi, ovvero quindi perdendo i primi due trofei in palio, poi ancora modificando e settando - non senza una certa fatica - la vettura bianconera per riuscire ad arrivare a tagliare la linea del traguardo nonostante la lingua a terra. Ma il giudizio si ancora ai soliti fatti che descrivono l’esito di una competizione: è, giustamente, lo scudetto di Sarri come lo è di CR7, di capitan Bonucci, di Rodrigo Bentancur, di Matthijs DeLigt, di Paulo Dybala, i quali generosamente lo condividono con tutti.

Anche con Miralem Pjanic (sembrano lontani, ma sono reali le prestazioni da MVP del mese di ottobre, prima gara contro Antonio Conte inclusa). Perché se così non fosse, non fosse anche dei Bernardeschi, dei Danilo, dei Ramsey & Rabiot, allora non sarebbe lo scudetto di nessuno se non proprio di Andrea Agnelli. Così funziona nei gruppi di lavoro, così funziona alla Juve. I conti e le valutazioni fanno e faranno capitolo a sé. Anche perché se fosse lo scudetto di Agnelli senza esserlo di Fabio Paratici e Pavel Nedved, allora significherebbe che qualcuno ha qualcosa da farsi perdonare: quale occasione migliore se non andare a prendersi, con una personalità e un’autorevolezza nuova, il decimo mitologico scudetto consecutivo senza eguali nei maggiori campionati di qualunque campionato e pianeta?

In parallelo c’è il percepito della tifoseria, la quale sognava di compattarsi dopo il controverso addio imposto a Massimiliano Allegri (e relativo accesissimo dibattito pre e post esonero). Chi avrebbe pensato che i toni potessero alzarsi ulteriormente? Può essere segno di uno juventino che ancora deve ritrovarsi e impersonificarsi dentro il nuovo progetto squadra. Eppure Gigi Buffon, Giorgio Chiellini e Leonardo Bonucci sono ancora con noi. Lo saranno anche il prossimo anno proprio perché questo processo non è ancora ultimato e perché paraurti degli scossoni passati, presenti e futuri.

Un percepito che per il tifoso contiene due categorie di pensiero mai così opposte: dalla peggior Juve di questo decennio alla miglior Juve possibile per preparare il terreno alla più forte in assoluto di questo ciclo che di campioni ne ha costruiti, accolti, accarezzati, applauditi, rigenerati, scoperti e coccolati. Chi avrà ragione oggi non conta nulla, ci sarà tempo dal 7 agosto in avanti per tornare sull’argomento. Quel che conta è che quella scritta (“CAMPIONI”) sia rimasta sulle maglie dei nostri, qualcuno per la prima volta nella propria vita, e che sia ogni volta un motivo per scoprire un modo nuovo per sentirsi juventini. Di giocatori con la maglia addosso se ne sente sempre più il bisogno...

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