Il Mondiale è caratterizzato da un'organizzazione ferrea in fase di non possesso e dalla chiusura sistematica delle zone centrali
di Andrea CocchiDa sempre i campionati del mondo sono l'occasione per fare il punto sulle tendenze tattiche più diffuse. Un Mondiale, insomma, per capire dove va il calcio. Ora non è più così. Premier e Champions League raccolgono il meglio del pallone mondiale e anche la Serie A, sul piano dell'organizzazione di gioco, è considerata un punto di riferimento. Nessun dubbio, però, che anche Qatar 2022 possa farci capire quale sia la direzione del calcio mondiale.
Il fatto che questa coppa del mondo sia disputata in inverno, in piena stagione agonistica, ha dato indubbi vantaggi dal punto di vista atletico ma ha limitato il tempo a disposizione dei ct per dare una precisa impronta strategica alle proprie squadre. Ovvio quindi che si sia puntato soprattutto sulla compattezza difensiva. Le squadre di Qatar 2022 pressano poco e si ritirano, in fase di non possesso, creando due linee strette per non concedere lo sfruttamento dei mezzi spazi agli avversari. La partita del Marocco con la Spagna è il manifesto programmatico di questa logica di gioco. Linea difensiva ad altezza media, non troppo bassa per non rischiare di farsi chiudere in area, un perno davanti alla difesa, quattro centrocampisti in linea e una punta centrale. Concessione del palleggio agli avversari in avvio di azione e ricerca della chiusura delle linee di passaggio (posizionandosi per il controllo della zona senza avere l'uomo come riferimento). Oltre alla punta centrale si stacca una delle mezze ali sull'altro centrale di difesa spagnolo con il compito di schermare Busquets, il regista della "Roja", mentre i laterali offensivi sono pronti a scalare verso gli esterni bassi di Luis Enrique. A nulla è servito il possesso palla e nemmeno le rotazioni studiate dal ct (Llorente che si sposta nel ruolo di intermedio con Pedri che si allarga in avvio di azione a destra, o il movimento combinato tra Dani Olmo e Asensio a sinistra).
Fondamentale, quando si ha poco tempo per lavorare sui principi, è lo studio scientifico del piano di gara. L'esempio migliore è la disposizione dell'Arabia Saudita contro l'Argentina. Renard ha schierato i suoi con una linea difensiva altissima, pronta a far finire in fuorigioco gli avversari in una disposizione da anni '70, '80 e primi '90, quando la tattica dell’offside era il pane quotidiano delle squadre belghe, olandesi o del Milan di Sacchi. Il cambio delle regole, con il fuorigioco passivo non punito, l'aveva messa nel dimenticatoio, prima di essere rilanciata dalla tecnologica (con l'offside semiautomatico). Tanti rischi, per gli arabi, ma tanta resa con una vittoria straordinaria.
In fase difensiva quasi tutte le squadre ricorrono alla cara, vecchia, coperta di Linus del 4-4-2. Se la disposizione è con tre mezze punte alle spalle dell'attaccante centrale, con palla agli avversari i laterali d'attacco si mettono in linea con i due centrocampisti e il trequartista si piazza al fianco della punta. Con il 4-3-3 è una delle mezze ali ad affiancarsi all'attaccante centrale con gli esterni offensivi che scalano al fianco di chi presidia il reparto di mezzo. Le squadre schierate con i tre difensori, diventano a cinque con palla agli avversari (e questo è scontato). Quando sono disposte con due mezze punte (alle spalle di un attaccante centrale nel 3-4-2-1), creano una sorta di rombo a chiudere gli sbocchi centrali, con uno dei centrocampisti che si alza a schermare il play avversario. E' capitato anche di vedere disposizioni difensive a 6 (partendo da un 4-4-2, con gli esterni d'attacco che ripiegano, vedi Polonia, o da una difesa a 5, con un centrocampista che scala dietro, come l'Arabia nel finale della partita con l'Argentina).
La chiusura degli spazi è il preludio di azioni di rimessa in velocità. Le migliori, in questo campo, sono Olanda, Marocco e Giappone. La squadra di van Gaal è quasi chirurgica nel ribaltare l'azione andando a mille, con spostamento del pallone dal centro verso l'esterno per ricercare di nuovo il pallone in mezzo, dove i movimenti sincronizzati di chi occupa l'area rendono difficili le letture avversarie. I marocchini sfruttano di più la capacità nell'uno contro uno degli esterni come Boufal e Ziyech, mentre il Giappone è in grado di ripartire a velocità elevatissima con movimenti coordinati.
Anche se la sua massima interprete, la Spagna, è uscita a pezzi, non si può negare che il gioco di posizione (quello che cerca di manipolare la struttura avversaria con lo scopo di trovare giocatori tra le linee) sia il punto di riferimento delle squadre che cercano di imporre il proprio gioco. Ce n'è per tutti i gusti (anche se ovviamente dipende dalle caratteristiche dei giocatori). Il Brasile è un mix tra il gioco di posizione e il jogo bonito della sua tradizione. Imposta a tre, fa spostare un laterale basso verso il centro, tiene Casemiro a coprire e occupa tutti i corridoi verticali con Rafinha e Vinicius sulle fasce, e Neymar, Paquetà (il teorico altro mediano) e Richarlison al centro. Nello sviluppo c'è grande libertà di movimento e la possibilità di scatenare la fantasia nelle combinazioni strette tra giocatori particolarmente tecnici. L'Argentina ha delle caratteristiche precise ma molto dipende dal movimento di Messi, che è libero di spostarsi dove vuole. Alvarez raramente rimane largo e va a occupare la posizione di centravanti lasciando la fascia al terzino o all'intermedio, che ha un ruolo particolarmente importante. E' ricercato spesso, in avvio di azione, il suo spostamento verso l'esterno o l'inserimento in velocità in area, in zona di rifinitura. Scaloni non disdegna di passare al 3-5-2 quando la situazione lo richiede. Particolarmente interessante, e bello da vedere, il movimento costante dei centrocampisti, difensivi e offensivi, del Portogallo. L'insieme di giocatori così tecnici (Bruno Fernandes, Bernardo Silva, Joao Felix, Otavio, ecc.) permette a Fernando Santos di lasciare l'iniziativa alla fantasia dei suoi campioni, che si scambiano la posizione alternandosi in impostazione, rifinitura e conclusione al termine di spostamenti che liberano lo spazio che viene subito occupato da un compagno.
Brasile, Portogallo e Inghilterra sono un mix tra 4-3-3 e 4-2-3-1. La posizione di Neymar, Bernando Silva (o Bruno Fernandes) e Bellingham (o Mount) rende difficile la lettura del sistema di gioco, visto che possono posizionarsi sia alle spalle della punta che come terzi di centrocampo. Hanno caratteristiche tutte loro, invece, Croazia e Francia, le due finaliste di quattro anni fa. La selezione di Dalic si schiera con 4 difensori, tre centrocampisti particolarmente tecnici, due punte larghe e un centravanti. L'organizzazione non è delle più ferree ma sfrutta le naturali associazioni tra giocatori di classe superiore. La nazionale di Deschamps, invece, sembra sempre la più completa. A una rosa infinita, si aggiunge una disposizione fluida con Griezmann che può fare il trequartista e la mezzala, Mbappé che parte largo per poi tagliare verso il centro, Dembelé che occupa la fascia destra, Giroud che fa avanzare l'azione e finalizza e Rabiot che si inserisce. Grande fantasia in avanti, rigido 4-4-2 difensivo che, quando Mbappé non ce la fa a tornare, può prevedere l'arretramento di Griezmann con Rabiot che scala verso sinistra.
Fasi offensive particolarmente apprezzabili, e organizzate, quelle viste, a sprazzi, osservando Canada, Stati Uniti e Corea del Sud. I canadesi hanno saputo offrire trame da squadra di club, con combinazioni per catene e ricerca del terzo uomo, la selezione di Berhalter ha espresso il meglio nel gol del vantaggio nella prima partita con il Galles, con l'accentramento di Pulisic per il taglio dell'altro esterno Weah, mentre la nazionale di Paulo Bento ha saputo risalire il campo con cambi di gioco e combinazioni tra esterno alto, laterale basso e intermedio, con inserimenti profondi particolarmente efficaci.