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PyeongChang, cosa abbiamo imparato da questi Giochi Invernali

Gli ori delle donne azzurre, l'impresa storica della Ledecka, le medaglie della Bjorgen e non solo

26 Feb 2018 - 13:48

Sono volate via con l'ultimo vento e il primo sole tiepido che ha scaldato la contea di PyeongChang. Abbiamo salutato la bandiera a cinque cerchi, ammainata e riposta, pronta a ripartire con il fuoco sacro di Olimpia in direzione Tokyo (2020, olimpiadi estive) per poi virare verso Pechino (2022, olimpiadi invernali). È calato il sipario sulle Olimpiadi invernali e questi quindici giorni ci lasciano tante emozioni, un pugno di delusioni e tanti insegnamenti. Abbiamo imparato tante cose, molte belle e confortanti, qualcuna un po' meno.

Abbiamo imparato che le donne hanno un cuore d'oro, e per una volta non è un modo di dire. È vero, scolpito nel ghiaccio e nelle montagne, da dove sono arrivati dei trionfi pieni di tenacia, fatica, incoscienza, sofferenza e caparbietà. La nostra portabandiera ha rappresentato l'Italia diventando un simbolo universale: tre medaglie (oro, argento e bronzo) e un sorriso semplice. Una storia che parte da Torino 2006 e che forse non si è ancora conclusa: Arianna Fontana è già nella leggenda non solo del nostro sport, ma del nostro paese.

Abbiamo imparato che quando si è giovani e nel pieno del proprio sogno agonistico ci si può infortunare gravemente, si può piangere per le proprie ginocchia, temere per la propria carriera. E poi ci si può rialzare, ci si può allenare con serietà e si può vincere un oro olimpico. Lo ha fatto Michela Moioli, che a Sochi, quando aveva 18 anni, aveva accarezzato l'idea di salire già sul gradino più alto, prima che una caduta le spezzasse il sogno e i legamenti del ginocchio. Lo ha fatto Sofia Goggia, capace di sfrecciare più veloce della regina delle nevi Vonn, sua grande amica, riducendola in un angolo a piangere, sconfitta e sconsolata. La carica di Sofia, la sua capacità di non prendersi sul serio ma di fare sul serio quando mette gli sci a valle sono un esempio per tanti.

Abbiamo imparato che la domanda "tu scii o usi la tavola" non ha più senso, o per lo meno lo ha fino ad un certo punto. Per lo meno, non ha senso se lo si chiede a Ester Ledecka, davvero l'atleta più incredibile del mondo. Non lo diciamo per esagerare, ma perché ha compiuto qualcosa di storico, impensabile, vincendo l'oro nel SuperG (sci alpino) e nel gigante parallelo dello snowboard. Sorpresa lei a tal punto da non crederci, spensierata come può esserlo una ragazza di 23 anni, fortissima anche grazie a geni di una famiglia di sportivi e artisti. Un dato, freddo ma esaltante: l'ultima volta che un atleta vinse in due discipline diverse fu Johan Groettumsbrsten, oro nel fondo e nella combinata nordia a St. Moritz 1928. E per restare in argomento tavola, abbiamo imparato che possono esserci tutti i ragazzini giovani e terribili del mondo ma che il re dell'halfpipe è sempre e solo Shaun White, The Flying Tomato, capace di vincere il suo terzo oro olimpico nella specialità, vendicando anche la delusione del 2014.

Abbiamo imparato che avere quasi 38 anni non ti impedisce di andare più forte delle giovani rivali nello sci di fondo, disciplina massacrante. Abbiamo imparato, però, che per farlo devi essere la più grande atleta della storia dei Giochi invernali, e allora non resta altro da fare che togliersi il cappello di fronte a Marit Bjorgen, norvegese di Trondheim, due ori, un argento, un bronzo a PyeogChang ma soprattutto di arrivare a quota 15 medaglie olimpiche: 8 ori, 4 argenti, 3 bronzi, nessuno nemmeno tra gli uomini come lei.

Abbiamo imparato che si può essere una rockstar anche pattinando sul ghiaccio, che si possono fare innamorare centinaia di migliaia di donne vincendo due ori di fila nel pattinaggio artistico su ghiaccio, diventando il simbolo di un paese, "riempiendo il cuore di tutti giapponesi", come ha detto Shinzo Abe. Yuzuru Hanyu non solo ha incantato a PyeongChang, raccogliendo l'oro e le decine di pupazzetti di Winnie The Pooh lanciatigli sul ghiaccio dopo la sua esibizione, ma ha dimostrato che si può essere trasversali, popolari e adulati pur non essendo un calciatore o un cantante.

E poi abbiamo imparato a sperare che i nostri azzurri prendessero tutti i bersagli del biathlon, diventando esperti nell'analizzare le folate di vento gelido. Abbiamo imparato a spingere Federico Pellegrino nello sprint urlando davanti alla tv, abbiamo imparato a maledire il cronometro per i quarti posti e le medaglie di legno dolorose. Abbiamo imparato a sperare che le "stone" della nostra squadra di curling scivolassero portandoci punti. Ad applaudire i russi marito e moglie, bronzo nel curling, per poi scoprire che uno dei due è risultato positivo all'antidoping. 

Abbiamo imparato tanto, anche che a conti fatti tanti eroi veri sono troppo trascurati, da stampa e tifosi. Abbiamo già imparato ad avere nostalgia di questi Giochi, e non vediamo l'ora che arrivino i prossimi.

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