Le sue imprese in parallelo con quelle del mito del ciclismo Fausto Coppi
Il 26 ottobre 1941, nella corsa verso Mosca, i carri armati della Wehrmacht tentano di vincere la gara contro la rasputitza, il fango vischioso che attanaglia i cingoli; il 7 novembre 1942 la flotta alleata spia il litorale del Nordafrica per dare il via a quello che Winston Churchill chiamerà l’inizio della fine.
Tre quarti di secolo dopo, non smette di apparire singolare, unico, che Adolfo Consolini e Fausto Coppi offrano i loro acuti mondiali, in momenti differenti, in una Milano livida, bombardata, sempre più affamata.
Il record del disco e il record dell’ora distano l’uno dall’altro poco più di dodici mesi di conflitto: quello di Consolini, il 53,34 che ritoccava di 8 cm il fresco limite dell’americano Archie Harris ai campionati Nca di Stanford, durerà quattro anni e mezzo e toccherà proprio ad Adolfo allungarlo di poco meno di un metro scegliendo il palcoscenico del Giuriati, in entrambi i casi in quelle che possono esser etichettate come esibizioni solitarie.
Quello di Coppi, 45 km e 798 sulla pista del Vigorelli, 31 metri meglio del francese Maurice Archambaud, avrà vita più consistente, undici anni, e verrà migliorato da un normanno dagli occhi color del fiordaliso che all’epoca frequentava le elementari di Mont Aignan, Jacques Anquetil.