Classe, eleganza, bellezza: Adriano resta per tutti noi l'eroe di quel mitico '76 che ci fece innamorare del tennis
di Enzo PalladiniMa quali 70 anni! Inutile raccontare balle, Adriano: la data di nascita è palesemente truccata. Panatta è sempre il Panatta giocatore, magari con un po’ di pancetta, ma ha lo sguardo ammaliante di quando faceva ammattire Bjorn Borg e faceva strage di donne tra un turno e l’altro di un torneo in giro per il mondo. Ma quali 70 anni, con un signore così ci si siede a un tavolo e gli si chiede: “Racconta, per favore”.
È stato il simbolo incontrastato del tennis italiano per decenni, ha ereditato questa etichetta da Nicola Pietrangeli e praticamente non l’ha mai ceduta a nessuno. Nelle generazioni successive l’Italia ha prodotto buoni tennisti, è vero, qualcuno ha anche sfiorato la qualifica di “campione”. Ma come Panatta nessuno. Lo sport nel frattempo è stato rivoluzionato nella tecnica e nelle abitudini, Adriano faceva magie con una racchetta di legno che vista oggi sembra uscita da un museo della Preistoria, oggi si picchia duro dal primo all’ultimo quindici, senza mai tirare il fiato. È lo stesso sport ma è un altro sport. Panatta non ha mai fatto della preparazione atletica il suo punto di forza. Il suo gioco è sempre stato arte pura, carezze alla pallina e soluzioni imprevedibili. Odia Wimbledon perché le traiettorie non hanno senso. Ama la terra battuta, perché su quella superficie tutta la sua immaginazione può prendere forma e portare punti.
Un regalino, il destino glielo ha fatto, facendolo nascere figlio del custode del Tennis Club Parioli di Roma. Biberon e tennis, pane e tennis, la fortuna di poter accedere a uno sport che negli anni ’50 in un’Italia alle prese con la ricostruzione non era esattamente alla portata di tutti. A quella partenza privilegiata, Panatta ha sommato una classe immensa e un modo di giocare che nel 1976 faceva venire giù il Foro Italico a ogni set, a ogni punto, a ogni giocata. La “veronica” è il suo colpo, il suo marchio di fabbrica. Volèe alta di rovescio, praticamente “no look”. Gli è sempre riuscita da dio, imprevedibile e imprendibile per gli avversari. Ma poi c’è la volèe smorzata in tuffo, altro colpo che Adriano ha tentato con successo nei momenti decisivi di partite fondamentali. Mezza Italia ha iniziato a giocare a tennis in quel periodo dopo avere passato pomeriggi davanti alla tv e riempiendosi gli occhi di quel giocatore così ricco di immaginazione, così sbarazzino con quella capigliatura abbondante che non ha mai abbandonato per tutta la vita.
Il 1976, dunque. Un anno magico. Irripetibile. Anche per il percorso tortuoso dei trionfi. Agli Internazionali d’Italia a Roma sembrava finita al primo turno contro l’australiano Kim Warwick, 11 match-point annullati nel terzo set con rimonta da 1-5 a uno straordinario 7-6. Due mezze passeggiate nei turni successivi contro Tonino Zugarelli e contro lo jugoslavo Franulovic. Nei quarti, una polemicissima vittoria contro lo statunitense Harold Solomon, che si ritirò per protesta asserendo di avere subìto un torto arbitrale. Semifinale contro un John Newcombe ormai sul viale del tramonto, vinta per 6-2 6-4 6-4. E poi la finale, contro il poeta argentino Guillermo Vilas, numero 2 del mondo, piedi inchiodati sulla linea di fondo e rotazioni micidiali della pallina. Ma Panatta davanti al suo pubblico non poteva sbagliare e non sbagliò: 2-6 7-6 6-2 7-6 con 3 set-point annullati nel quarto set e il Foro Italico in delirio.
Anche al Roland Garros l’inizio fu complicatissimo contro il modesto cecoslovacco Hutka, battuto per 12-10 al quinto set con alcune giocate indimenticabili, tipo veronica e volèe in tuffo a distanza di pochi secondi. Nei turni successivi, non proprio passeggiate ma vittorie tranquille contro Kuki, Hrebec e ancora Franulovic. Nei quarti di finale il capolavoro: battuto Borg in quattro set, e per Borg fu una delle due sole sconfitte nella storia delle sue partecipazioni al Roland Garros. A quel punto la strada era spianata, quasi semplice la vittoria sullo statunitense Dibbs in semifinale, mentre in finale si temeva la rivincita di Solomon dopo le polemiche di Roma ma Panatta giocò i primi due set da fenomeno, concedendo solo il terzo all’avversario per chiudere 7-6 al quarto. Unico italiano nella storia a vincere Roma e Parigi nello stesso anno. Basterebbe questo.
Passato un altro turno di Coppa Davis battendo una Svezia priva di Borg, a fine agosto Panatta era al quarto posto della classifica ATP, un risultato straordinario. Mancava un capolavoro, la Coppa Davis. A fine settembre grande vittoria nella semifinale Interzone contro l’Australia. L’altra semifinale non venne mai giocata perché l’Unione Sovietica decise di non affrontare il Cile, pilotato all’epoca dal dittatore Pinochet. Finale Cile-Italia, ma era tutt’altro che sicura la partecipazione degli azzurri. Il governo italiano inizialmente era contrario alla partecipazione ma quando il boicottaggio sembrava ormai certo, la mediazione del Partito Comunista Italiano, in stretto contatto con il Partito Comunista Cileno clandestino, fece partire la spedizione italiana. All’Estadio Nacional de Chile, teatro di tremende torture e omicidi efferati da parte del regime Pinochet, Panatta guidò l’Italia (gli altri componenti erano Barazzutti, Bertolucci e Zugarelli) a una facilissima vittoria ma lanciò anche un segnale fortissimo a tutto il mondo indossando una maglietta rossa nel doppio e convincendo Paolo Bertolucci a fare lo stesso. Una provocazione che il dittatore Pinochet dovette inghiottire in silenzio.
Quella del 1976 è rimasta l’unica Davis conquistata dall’Italia. Chissà dov’è finita quella maglietta rossa indossata da Panatta. A casa sua non è, perché dei suoi cimeli ad Adriano interessa poco o niente, ogni tanto gli ricompare da qualche parte la pallina del match-point contro Vilas al Foro Italico, infeltrita e raggrinzita, ma sparisce ben presto in qualche altro angolo della casa.
Gli anni successivi ovviamente non sono stati uguali. Però Adriano ha continuato a far sognare quella generazioni di italiani aspiranti tennisti: finale (persa contro l’Australia) della Coppa Davis 1977, finale a Roma nel 1978, questa volta persa al quinto set contro Borg che voleva andarsene perché il pubblico faceva di tutto per favorire il beniamino di casa, finale di Coppa Davis strapersa (5-0 dagli Stati Uniti) nel 1979, anno in cui Adriano andò a un passo dalle semifinali di Wimbledon perdendo al quinto set nei quarti contro l’abbordabile Pat DuPrè. Un’occasione persa, ecco perché Panatta odia Wimbledon e la sua erba. Nel 1980, Panatta centrò la qua quarta finale di Davis contro la Cecoslovacchia, anche questa persa. Fine carriera 1983, esattamente il 18 luglio perdendo contro il tedesco Beutel nel torneo di Kitzbuhel, in Austria.
Ma se il Panatta giocatore ha caratterizzato un’epoca con le sue giocate fantasiose e la sua capacità di far sognare la gente, il Panatta uomo è un personaggio estremamente godibile, spontaneo, sempre pronto alla battuta, sempre disponibile a tavolate conviviali dove si parla di tutto, sempre brillante nel suo straordinario modo di essere. Nel tennis è rimasto fino al 1997 facendo il capitano non giocatore della squadra di Davis, due semifinali centrate, ma subito dopo di lui l’Italia ha prodotto poco e solo in questi ultimi anni sta producendo talenti in grado di stare alla pari con i primi del mondo. Nella seconda vita si è buttato sulla motonautica, con all’attivo un record di velocità nella categoria entrobordo e un titolo mondiale nella classe Evolution. Ma nell’iconografia ufficiale, il Panatta pilota di offshore potrebbe tranquillamente non comparire. Adriano è il tennis italiano, è l’uomo che ha vinto Roma, Parigi e la Davis nel giro di pochi mesi, è quello che ha brevettato la veronica e che quando aveva voglia davvero teneva la gente inchiodata alla tv per cinque ore consecutive, senza uno sbadiglio.