Sono trascorsi trentatré anni dalla scomparsa di una campionessa in anticipo sui tempi e ancora oggi ineguagliata
di Stefano Gatti© Archivio Storico Lavazza
Sfiora ormai il mezzo secolo l’ultima presenza di una donna al via di un Gran Premio di Formula Uno: Austria 1976 a Zeltweg: Maria Grazia “Lella” Lombardi al volante di una Brabham. L’ultima volta ma non certo l’unica per la sfortunata campionessa piemontese che tra il 1974 e il 1976 appunto prese il via di dodici Gran Premi validi per il Mondiale (e di diverse altre gare fuori campionato, all’epoca molto diffuse e ambite) con March e Brabham di diverse scuderie, conquistando uno storico mezzo punto nel Gran Premio di Spagna della stagione di mezzo sul circuito stradale del Montjuich di Barcellona, funestato dalla morte di quattro spettatori, colpiti dalla vettura di Rolf Stommelen. Gara interrotta e punteggio dimezzato, Lella premiata con mezzo punto al posto di quello intero allora riservato al sesto classificato.
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Sesto o sesta? La distinzione in realtà non esiste, scatterebbe oggi Lella se potesse farlo. Perché una volta indossato il casco, come lei stessa disse a suo tempo, a fare la differenza sono solo coraggio, talento ed esperienza. Tesi sposata da Giacomo Arosio (e da Edizioni Minerva) fin dal titolo - “Lella Lombardi Un pilota una donna” - della biografia della compianta campionessa di Frugarolo (in provincia di Alessandria), scomparsa il 3 marzo del 1992, esattamente trentatré anni fa: curiosamente il numero stampato sul muso e sulle fiancate della Brabham BT44 (immancabilmente motorizzata Ford Cosworth) del suo ultimo Gran Premio.
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Il “manifesto” iniziale, quello della copertina del volume, è anche la premessa di un racconto profondo e nostalgico (per quelli che immaginiamo possano essere i lettori del volume-ci mettiamo anche noi), dalla quale il racconto stesso si sviluppa e ramifica, confermandosi puntualmente.
Sparse qua e là nel testo e ben dosate lungo le pagine anche tante informazioni di tecnica spicciola e godibilissima (oltre che di regolamenti) funzionali al rafforzamento dell’assunto di partenza e in particolare a dare a Lella quello che è di Lella: ragazza coraggiosa ma anche profondamente competente nel campo della meccanica e della preparazione di un’auto da corsa. Orgogliosamente italiana ma dal punto di vista sportivo molto legata all'Inghilterra (la patria del motorsport e di molto altro ancora), ad ulteriore riprova di una caratura internazionale, raggiunta partendo dalla sua Frugarolo, letteralmente sperduta nell'angolo più remoto della pianura piemontese, tra Alessandria e le prime ondulazioni dell'Appennino Ligure.
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Meno di dieci anni dai kart alla Formula Uno: attenzione, stiamo parlando degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, non dei giorni nostri. Le distinzioni alle quali accennato all’inizio non erano solo una remota possibilità ma al contrario la regola e il primo avversario da battere per Lella, ben prima di infilarsi il casco e… mimetizzarsi tra i colleghi uomini. Cosa restituisce in questo senso la grandezza di Lella, ben delineata nelle pagine del libro del quarantatreenne autore brianzolo? Beh a nostro avviso la sua irripetibilità lungo i quarantanove anni successivi all’ultima presenza di Lella nel Mondiale.
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Non solo, ci aggiungiamo l’abisso che separa quella carriera pionieristica, romantica ma tremendamente attuale dal red carpet steso oggi sull’asfalto delle piste della Formula Uno da “formule” women-oriented come le W Series, ben poco produttive in termini di promozione del talento (operazioni poco più che di facciata invece) e al contrario ulteriormente discriminanti, perché destinate a limitare le aspiranti campionesse a sfidarsi tra di loro, senza reali chances di crescere e avanzare verso le più alte sfere del motorsport. Forse l’ipocrisia più grande (e sottovalutata) di un establishment chiuso in se stesso, con responsabilità condivise tra l’Organizzatore USA del Mondiale e la Federazione Internazionale dell’Automobile guidata dall’ineffabile Mohammed Ben Sulayem.
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“Lella Lombardi - Un pilota, una donna” è tutto questo e altro ancora. È la Formula Uno nello stesso team di Vittorio Brambilla, è un volante (il suo) ereditato da Ronnie Peterson, è l’eclettismo che la portò ad affrontare a viso aperto gli avversari anche in Formula 5000 e con i prototipi nella 24 Ore di Le Mans, alla quale nel 1980 prese parte con una Osella in coppia con Mark Thatcher, figlio dell'allora Primo Ministro britannico Margaret.
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È una carriera arricchita da sporadiche esperienze nei rally, lo stesso ambiente che in quegli stessi anni vedeva impegnata nel Mondiale la grandissima Michèle Mouton. Sono le affermazioni internazionali di Lella con le vetture Turismo. Fino al suo ultimo sogno, diventato realtà quando la malattia che l’avrebbe uccisa il 3 marzo del 1992 stava già provocando danni irreparabili: la creazione del suo team, il Lella Lombardi Autosport per la preparazione di vetture turismo che aveva per simbolo un colibrì.
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Leggerezza e spensieratezza per provare ad allontanare l’ineluttabile. Con la forza della disperazione e un’ultima bellissima utopia da Gran Premio che l’autore svela nelle ultime pagine, subito prima di lasciare spazio ad una ricca e dettagliata sezione dedicata al palmarès sportivo di Lella e ad un’altrettanta cospicua e completa galleria di praticamente tutte le auto da corsa - dalla Formula Monza alla Formula Uno e non solo - da lei guidate al limite sulle piste di tutto il mondo.
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Cosa resta di Lella Lombardi e dei suoi sogni? Resta quello storico mezzo punto di cinquant’anni fa al Montjuch (domenica 27 aprile allora, come sarà anche quest’anno). Mezzo punto che sembra non renderle giustizia ma che invece trova proprio in questa sua anomalia la sua grandezza: come se quel singolo punto destinato al sesto posto invece che dimezzarsi raddoppiasse. DUE, la somma di UN pilota, UNA donna: Maria Grazia “Lella” Lombardi.
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